22 ottobre 2011
Ora basta con l'aborto
06 ottobre 2011
Amanda Knox, i media e il pregiudizio anti-cattolico
Non poteva mancare. Nell’orgia mediatica che si è consumata intorno al processo per l’uccisione di Meredith Kercher, non poteva mancare qualcuno che tirasse in ballo la Chiesa. “La natura delle accuse contro Amanda Knox erano quasi esclusivamente di natura sessuale. L’Italia cattolica condanna lo stile di vita e un clichè adoperato ad hoc, non il fatto – mai dimostrato – che abbia ucciso”. Così afferma in un’intervista al Corriere della Sera (notare anche il giornalista compiacente) lo scrittore-avvocato americano Scott Turow, che aggiunge: “L’aver dipinto sin dal primo istante la Knox come una giovane americana viziosa, promiscua e drogata, giunta in Italia dalla capitale degli hippy Seattle solo per divertirsi, ha consolidato uno stereotipo con grande presa sulla vostra opinione pubblica". Ecco il problema: Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati condannati in primo grado soltanto perché siamo un paese cattolico, che non ama le ragazze licenziose e che magari fanno uso anche di droga. Cosa che se fosse vera vedremmo Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti – nel processo attualmente in corso – condannati anche per le stragi di Bologna, Ustica e Piazza Fontana. Stando al teorema di Turow perciò, quella folla che, fuori dal Tribunale di Perugia, a sentenza nota ha cominciato a fischiare e urlare “Vergogna, Vergogna!”, era senz’altro un gruppo di esagitati dell’Azione Cattolica e del Movimento Chierichetti. Ma non è solo Turow; il quotidiano inglese The Daily Telegraph è ancora più preciso: il responsabile di questo flop giudiziario è il cattolico pubblico ministero Giuliano Mignini, che a causa della sua fede è anche fissato con il satanismo e le messe nere. Insomma, Mignini avrebbe legato la ricorrenza di Halloween – l’omicidio avvenne l’1 novembre – con presunti riti satanici a base di sesso che avrebbero portato alla morte di Meredith. Ovviamente, questa sarebbe pura fantasia scatenata nella testa del pubblico ministero dal suo essere cattolico. In altre parole, secondo questi illuminati signori del mondo anglosassone, l’Italia è il paese della superstizione e della caccia alle streghe a causa della sua tradizione cattolica. Evidentemente non hanno letto la cronaca dei giornali italiani negli ultimi anni. Parlare di pregiudizio anti-cattolico in questo caso è perfino riduttivo. Sia ben chiaro, noi non abbiamo elementi né a favore della colpevolezza né dell’innocenza, così come la stragrande maggioranza di coloro che – italiani e non – hanno scritto di questo processo. Guardiamo soltanto a ciò che è avvenuto intorno al processo, e non possiamo fare a meno di notare che al pregiudizio anticattolico si sposa anche una punta di razzismo da parte soprattutto dei media e dei politici statunitensi. Per loro Amanda Knox è innocente a prescindere: è americana, non può essere colpevole di alcunché avvenuto in terra straniera. Gli italiani non sono degni di giudicare un cittadino americano, come si osa portare alla sbarra chi è “superiore” per nascita? Non è purtroppo la prima volta che accade: è successo per la strage del Cermis, è successo per la morte dell’agente segreto Nicola Calipari in Iraq. Ma in questi casi, si poteva pensare, il problema era che sul banco degli imputati c’erano dei militari. Nel caso di Perugia però - un fattaccio di cronaca nera senza alcun collegamento, neanche lontano, con la politica - abbiamo visto scendere in campo per fare pressione sulla giuria addirittura il segretario di Stato Hillary Clinton. Un fatto di cronaca nera che diventa affare di stato: unica prova dell’innocenza, la cittadinanza americana. E giù a ricordarci che nel “perfetto” sistema giudiziario americano Amanda Knox sarebbe stata assolta subito perché non ci sono prove sufficienti della sua colpevolezza: «Il nostro sistema giudiziario – dice ancora Turow – parte sempre dal presupposto di innocenza. Sta all’accusa dimostrare la colpevolezza di un imputato, attraverso prove “al di là di ogni ragionevole dubbio”». Che il nostro sistema giudiziario non sia un bell’esempio ne siamo ben coscienti (e lo conferma purtroppo anche il processo di Perugia con due sentenze che danno verdetti opposti), ma che normalmente si condanni sulla base di pregiudizi etnici e senza prove convincenti fa un po’ ridere. Soprattutto se questa lezioncina ci viene dagli Stati Uniti dove, guarda caso, tra gli oltre 400 cittadini italiani detenuti nelle locali carceri, ci sono due casi molto controversi. Anzitutto quello di Carlo Parlanti, accusato nel 2004 e poi condannato nel 2006 per stupro, violenza e sequestro di persona dall’ex compagna. La donna durante il processo ha offerto più versioni discordanti, le indagini non sono mai state fatte e, durante il processo, Parlanti non ha avuto neanche l’ausilio di un interprete. E in pochi giorni, si è trovato la condanna sulle spalle. Il secondo caso è quello di Enrico (Chico) Forti, produttore di filmati per la tv, condannato nel 2000 all’ergastolo in Florida per l’omicidio di un immobiliarista al termine di un processo indiziario da cui non è emersa alcuna prova concreta a suo carico. A generare dubbi sulla sentenza è anche il fatto che Forti era entrato in pesante contrasto con la polizia, in relazione alle nebulose vicende che avevano portato alla morte dello stilista italiano Versace e, successivamente, del suo presunto assassino. Forti, anche in servizi televisivi, definì la polizia “corrotta”, insinuando che essa avrebbe confuso le acque per salvaguardare i veri colpevoli. Da quel momento iniziano i guai e la sentenza lo condanna all’ergastolo “per aver personalmente e/o con altra persona o persone allo Stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamene, la morte di Dale Pike”. Accuse vaghe, come quelle della pubblica accusa nella requisitoria finale: “Lo Stato non ha bisogno di provare che Forti è il killer per provare che proprio lui sia stato il colpevole dell’omicidio…”. Questo sarebbe l’esempio di prove “al di là di ogni ragionevole dubbio”, secondo la giustizia americana. O almeno se l’imputato è italiano. Ma il nostro ministro degli Esteri, benché sensibilizzato sul tema, nemmeno si sogna di fare qualche domanda alla signora Clinton.
(di Riccardo Cascioli- tratto da "La Bussola Quotidiana")
04 ottobre 2011
Vendola e i cattolici. Il bastone e la carota
La versione bastone suona così: cari cattolici, cari vescovi, quando saremo al governo noi state attenti a non opporvi all'eutanasia e al matrimonio omosessuale perché potremmo colpirvi dove fa più male, togliendovi le esenzioni fiscali e strangolando economicamente le vostre associazioni e le vostre scuole. In tanti Paesi il laicismo ha fatto così.
Bisogna riconoscere che - benché la versione bastone in questi casi sia sempre implicitamente sullo sfondo - Vendola per ora ha usato la versione carota, proponendo un baratto. Con un prossimo governo del dopo-Berlusconi, magari proprio un governo Vendola, voi - vescovi e cattolici - impegnatevi a non disturbare il manovratore sul tema «nuovi diritti». In cambio ci dimenticheremo dei proclami bellicosi sull'ICI da far pagare alla Chiesa e daremo anche qualche soldino al volontariato e alle famiglie.
La proposta indecente di Vendola richiede due diverse risposte. La prima richiama ancora una volta alla questione dei principi non negoziabili. Per quanto siamo affezionati al quoziente familiare, la vita e la famiglia vengono prima. Il Papa lo ricorda tutti i giorni, e sarebbe bene che a scanso di equivoci lo ricordassero pubblicamente anche i vescovi italiani direttamente chiamati in causa dal governatore della Puglia. La seconda risposta l'ha data il Papa in Germania. La Chiesa Cattolica protesta contro le ingiustizie di chi le ruba beni materiali legittimamente acquisiti, ma teme di più chi le vuole rubare l'anima. E non accetta baratti che «annacquino» la verità. Nella storia, per quanto malintenzionato e ingiusto fosse chi la spogliava dei beni materiali, queste spoliazioni - ha detto il Papa a Friburgo - «significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spogliava, per così dire, della sua ricchezza terrena e tornava ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. Con ciò, la Chiesa condivideva il destino della tribù di Levi che, secondo l’affermazione dell’Antico Testamento, era la sola tribù in Israele che non possedeva un patrimonio terreno, ma, come parte di eredità, aveva preso in sorte esclusivamente Dio stesso, la sua parola e i suoi segni. Con tale tribù, la Chiesa condivideva in quei momenti storici l’esigenza di una povertà che si apriva verso il mondo, per distaccarsi dai suoi legami materiali, e così anche il suo agire missionario tornava ad essere credibile». Il Papa certamente non pensava a Vendola. Ma qui si trovano anche i principi per rispondere alla sua proposta tecnicamente irricevibile. La Chiesa non fa compromessi. Come ha detto ancora il Papa a Erfurt, ai protestanti, «la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo». Vade retro, Vendola. (di Massimo Introvigne- tratto dalla "Bussola Quotidiana")
E Olmi scambia il cristianesimo per la Caritas
03 ottobre 2011
Quella parole del Papa frettolosamente archiviate
Ecco alcuni passaggi del discorso di Papa Ratzinger, che partiva dalla constatazione della diminuzione della pratica religiosa e dalla domanda su quale fosse il cambiamento e il rinnovamento necessario per la Chiesa, che «deve sempre di nuovo verificare la sua fedeltà» alla missione affidatale: essere testimone, fare discepoli tutti i popoli, proclamare il Vangelo a ogni creatura. Per compiere la sua missione, la Chiesa «dovrà anche continuamente prendere le distanze dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere "demondanizzata"». La Chiesa «Non possiede niente da sé stessa di fronte a Colui che l’ha fondata, in modo da poter dire: l’abbiamo fatto molto bene! Il suo senso consiste nell’essere strumento della redenzione, nel lasciarsi pervadere dalla parola di Dio e nell’introdurre il mondo nell’unione d’amore con Dio. La Chiesa s’immerge nell’attenzione condiscendente del Redentore verso gli uomini. Quando è davvero se stessa, essa è sempre in movimento, deve continuamente mettersi al servizio della missione, che ha ricevuto dal Signore. E per questo deve sempre di nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del quale, appunto, essa stessa fa parte, dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente lo scambio sacro che ha preso inizio con l’incarnazione». «Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria: quella cioè di una Chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado dà così all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere aperta verso Dio e ad un aprire il mondo verso il prossimo». «Per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio». Benedetto XVI ha quindi accennato agli effetti positivi che hanno avuto nel corso delle storia certe «secolarizzazioni» e certe perdite di potere per la Chiesa: «Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. Con ciò condivide il destino della tribù di Levi che, secondo l’affermazione dell’Antico Testamento, era la sola tribù in Israele che non possedeva un patrimonio terreno, ma, come parte di eredità, aveva preso in sorte esclusivamente Dio stesso, la sua parola e i suoi segni. Con tale tribù, la Chiesa condivideva in quei momenti storici l’esigenza di una povertà che si apriva verso il mondo, per distaccarsi dai suoi legami materiali, e così anche il suo agire missionario tornava ad essere credibile». «Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa "demondanizzata" emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo. Il compito missionario, che è legato all’adorazione cristiana e dovrebbe determinare la struttura della Chiesa, si rende visibile in modo più chiaro». «Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità, che non trascura né reprime alcunché della verità del nostro oggi, ma realizza la fede pienamente nell’oggi vivendola, appunto, totalmente nella sobrietà dell’oggi, portandola alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione ed abitudine». «Vi è una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora di trovare il vero distacco del mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa. Questo, naturalmente, non vuol dire ritirarsi dal mondo, anzi, il contrario. Una Chiesa alleggerita degli elementi mondani è capace di comunicare agli uomini – ai sofferenti come a coloro che li aiutano – proprio anche nell’ambito sociale-caritativo, la particolare forza vitale della fede cristiana». Una Chiesa alleggerita da elementi mondani, sobria, spoglia della sua ricchezza terrena e grazie a ciò più «trasparente» ed essenziale nella testimonianza, nel comunicare ciò che ha ricevuto. Queste parole di Benedetto XVI sono state archiviate troppo presto, troppo frettolosamente. Erano rivolte alla Chiesa tedesca, fortemente strutturata, ma il loro valore va ben al di là dei confini della Germania. È una «conversione» chiesta alla Chiesa in tutto il mondo. Sono parole che meriterebbero di essere meditate, assimilate e messe in pratica ovunque la Chiesa si trovi. A cominciare dal Vaticano. (di Andrea Tornielli- tratto da "Vatican Insider)
Guerra a colpi di poster. Il Nord Est si ribella alla bestemmia
(di Daniele Uva- tratto da "Il Giornale")