7. Vedremo come sarà in dettaglio il famoso emendamento. Se farà pagare anche un euro di tasse al mio oratorio sotto casa, o alla scuola libera fondata con tanti sacrifici, o al santuario di Caravaggio perché vende le candele votive nel negozietto, come deputato negherò la fiducia a Monti. E, se non mi vedono, gli taglierò le gomme della sua sobria auto blu.
28 febbraio 2012
Anticlericalismo alla Monti
7. Vedremo come sarà in dettaglio il famoso emendamento. Se farà pagare anche un euro di tasse al mio oratorio sotto casa, o alla scuola libera fondata con tanti sacrifici, o al santuario di Caravaggio perché vende le candele votive nel negozietto, come deputato negherò la fiducia a Monti. E, se non mi vedono, gli taglierò le gomme della sua sobria auto blu.
27 febbraio 2012
Il mal di neutrini di Odifreddi & C.
Che male c'è ad ammettere di avere paura. Della scienza che sa di fantascienza e ci dice che se stessimo nel mezzo della nube gassosa che, secondo autorevoli riviste scientifiche, va a una velocità di oltre otto milioni di chilometri l’ora e passerà nel 2013 a quaranta miliardi di chilometri di distanza dal buco nero “Sagittarius A”,che è il più grande della Via Lattea, ha una massa quattro milioni di volte quella del Sole e dista dalla Terra alcune migliaia di anni luce, bene se stessimo là in mezzo saremmo tutti allungati come spaghetti secondo la teoria delle stringhe. E morti. Se non altro di paura. Non so se Einstein ha trovato davvero l’undicesimo comandamento, formulandolo addirittura con suprema eleganza e francamente me ne frego: non placa la mia angoscia, il senso del limite invalicabile, il lento scivolare verso il nulla. Per questo è meglio non sapere. E credere che il sole sia solo un’abitudine qualunque sopra “le nostre cose sorde e distratte”.
di Lanfranco Pace, tratto da "Il Foglio"
26 febbraio 2012
Ici e Chiesa Cattolica: Il cambio e il dubbio
24 febbraio 2012
Un popolo di cristiani nati per vivere e l'astio verso la vita che nasce da Cristo
Un popolo di cristiani nati per vivere e l’astio verso la vita che nasce da Cristo
Marina è morta in un lampo. Alessandro si era spento pochi anni prima di lei, in dodici mesi di calvario. Alessandro collaborava aTempi. Marina era sua moglie. Lunedì 20 febbraio, durante il suo funerale, due cose ci hanno sovrastato: quella Basilica di San Nazzaro, colma di amici degli sposi oggi riuniti in Paradiso e straripante di figli, amici dei figli e di amici degli amici. E poi una preghiera dei fedeli, quella «per Comunione e Liberazione» (il movimento di don Giussani, cioè l’uomo, come dice don Massimo Camisasca, superiore della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, che «ha salvato dalla morte un’intera generazione di giovani»).
Ecco, questo episodio per dire quale distanza ci può essere da un popolare predicatore di cristianesimo buono per l’aldilà (l’ex ragazzo della via Gluck il cui Dio per malati terminali ha rampognato due giornali e un giornalista) e «i cristiani ci sono per vivere, non per prepararsi alla vita» (parole di Pasternak in Dottor Zivago, citate nell’omelia per Marina da un virile sacerdote), rappresentati in maniera imperfetta ma, come si dice, “plastica”, da tanta di quella gente assiepata in San Nazzaro.
Altrove, in questi giorni in cui è ricorso il settimo anniversario dalla morte del “Giuss” (22 febbraio 2005), altra gente si è affacciata (o si sta dando un bel da fare) per marchiare e sfigurare “i ciellini” con mezzi anche un po’ più duri dei ruspanti cazzotti da anni Settanta. Ma ancora una volta, ieri come oggi, se chiedete a quest’altra gente la ragione del suo astio, se lo chiedete a un marcantonio come Dario Fo o a un boscaiolo con l’accetta giudiziaria conficcata in qualche bel tronco giussaniano, state tranquilli, al fondo di ogni loro argomento non troverete altro che quell’astio lì, ormai più che bimillenario, per la pura e semplice vita nata (nell’aldiqua) da Gesù Cristo.
Twitter: @LuigiAmicone
Il divorzio breve che rende schiavi i nostri figli
Ciò che tradizionalmente si intende definire “società” assume via via la parvenza di un pulviscolo indifferenziato. Le forme relazionali che di consueto si instauravano tra le persone sono, sempre più spesso, sostituite da temporanei e quasi accidentali interscambi tra singoli. Come leggere, altrimenti, l’ennesimo passo del Parlamento italiano nella direzione di favorire sempre di più non tanto la famiglia, quando chi ne ha una e vuole disfarsene? Ieri, infatti, la Commissione Giustizia della Camera ha completato l'esame degli emendamenti sulla proposta di legge relativa al divorzio breve. Tutte le correzioni sono state ritirate, salvo quella del relatore Maurizio Paniz che prevede la riduzione a un anno per il periodo di separazione prima di ottenere il divorzio (ora è di tre) mentre sarà di due anni in caso della presenza di figli minori. Cosa sta succedendo all’Italia (e al mondo)? Lo abbiamo chiesto a Claudio Risé.
Come interpreta la decisione della Commissione?
Mi sembra che la società occidentale si sia incamminata ormai da tempo, almeno dagli anni 70, sulla strada della precarietà dei rapporti tale per cui il rapporto breve viene reputato pratica normale, mentre quello di chi decide di impegnarsi per tutta la vita è valutato eccezionalmente.
E’ una posizione generalizzata?
Basta osservare la crescita dei divorzi che, seppur con delle variabili di Paese in Paese, è comune a tutto l’Occidente. Vi è, del resto, la tendenza prevalente ad agevolare i legami instabili a scapito di quelli duraturi.
La politica, in tal caso, registra una esigenza o la determina?
Le leggi - così come l’induzione provocata dai media - sono scritte anticipando le richieste di separazione e divorzi e, di conseguenza, le hanno provocate. La tendenza prevalente ad agevolare i legami instabili a scapito di quelli duraturi è stata una scelta ben precisa dei legislatori occidentali.
Quali effetti si riversano sulla società?
Abbiamo evidenze abbastanza ampie di disagi che coinvolgono, specialmente, i bambini, ma anche gli adulti. Vi è una variegata documentazione di tipo sociologico, psichiatrico, psicologico e clinico. Benché non vi siano statistiche globali dedicate, in grado di stabilire una correlazione specifica, disponiamo di una serie di studi, specialmente a livello nazionale e, soprattutto, provenienti dagli Usa, che ci consentono di indurre tale relazione tra legami deboli e patologie.
Ci spieghi meglio.
Sappiamo, ad esempio, che i figli cresciuti in famiglie senza padri sono in testa a tutte le classifiche di tutti i disagi psichici possibili. E che al moltiplicarsi dei legami deboli le malattie psichiatriche di ogni genere, dalle nevrosi alle psicosi, sono aumentate.
In sostanza, al di là delle patologie, indebolire i legami ha reso la gente più soddisfatta?
Non possiamo affermare “al di là delle patologie”. Quando esse diventano così diffuse, quando, ad esempio, l’Oms ci comunica che, entro il 2020, un quarto della popolazione mondiale sarà affetta da disturbi di questo genere, la patologia diventa modalità d’essere, non più relegabile alle casistiche cliniche.
Il matrimonio, laico o religioso, ha sempre rappresentano una tra le principali dimensioni di realizzazione di sé nel tempo. Tolta la caratteristica della durata temporale, cosa rimane?
La realizzazione di sé, oggi, è intesa in maniera essenzialmente individualistica; non solo dal punto di vista del matrimonio ma anche da quello degli altri legami sociali. La civiltà occidentale è fortemente de-socialitzzata, tutti i legami prevalenti, quali la famiglia, il quartiere, il gruppo, sono indeboliti. Di conseguenza i soggetti (sempre più individualizzati, cioè soli), tendono a individuare il proprio compimento nel successo economico, nella carriera, o nell’immagine che danno al mondo di sé. La coppia, intesa come modello provvisorio, è indicativa, quindi, di un nuovo modello sociale che è sempre più incline all’atomizzazione degli individui.
(Paolo Nessi) tratto da il Sussidiario.net
23 febbraio 2012
In Danimarca uccidono i feti dei bambini down per eliminare la malattia
In Danimarca uccidono i feti dei bambini Down per eliminare la malattia. «Evviva l'imperfezione»
Intervista a Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, che davanti al tentativo della Danimarca di eliminare la sindrome di Down uccidendo chi ne è affetto, elogia l'imperfezione. Di Benedetta FrigerioTratto da Tempi del 22 febbraio 2012
«Mentono perché non è stata fatta alcuna scoperta per combattere la malattia. La verità è che rimediano uccidendo chi ne è affetto. Ma siamo sicuri di preferire la perfezione alla carità?», si chiede in un'intervista a tempi. it Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, l’osservatorio sulle tecniche riproduttive umane. Quintavalle si riferisce alla notizia del quotidiano danese Berlingske secondo cui entro il 2030 la sindrome di Down (trisomia 21) somparirà in Danimarca grazie alla diagnosi prenatale, che permette di individuare ed eliminare prima della nascita i bambini affetti dalla malattia genetica.
Pare che l'uomo voglia superare ogni limite. È la notizia stessa data dal giornale danese a dirlo: «Nel 2030 – è il titolo dell'articolo – nascerà l'ultimo bambino Down». Il problema è che eliminare l'imperfezione è impossibile e così si usa un linguaggio fuorviante per far sembrare che la malattia sarà debellata. In realtà non c'è nessuna scoperta medica che elimini la trisomia 21. Semplicemente verranno abortiti tutti i bambini down. La realtà è che per eliminare la malattia si uccide l'uomo. E questo è un controsenso.
Ora si eliminano i bambini Down, ma chi può determinare cosa sia l'imperfezione? In Inghilterra, ad esempio, lo fa lo Stato che ora si è spinto anche più in là, ritenendo inaccettabile qualsiasi anomalia fisica: la legge consente l'aborto fino al nono mese se il bambino ha il labbro leporino o se ha un dito in più. Anche il naso storto o le orecchie a sventola sono difetti: se seguiamo la logica perfezionista pure i bambini con queste imperfezioni dovrebbero essere abortiti.
E infatti la prossima vittima, a seconda dei parametri di normalità decisi dagli Stati, potrebbe essere chiunque.
In una società come la nostra, perfezionista e con il mito dell'efficienza, il bisogno è visto come un peso: lo si vede nella vita fragile dei bambini (infatti oggi è forte il fenomeno della denatalità) e degli anziani (l'eutanasia è un rimedio sempre più diffuso). Questo significa scegliere di privarsi dell'affetto e dell'aiuto reciproco, della bontà di un atto gratuito. L'uomo, insomma, vuole essere efficiente per non aver bisogno. Il problema è che in questo modo non è felice, ma solo. E infatti molti chiedono il suicidio quando capiscono che iniziano ad avere bisogno: a quel punto, senza legami d'amore reali, si percepiscono solo come un peso.
Nel libro sulla vita di Jérôme Lejeune - lo scienziato che ha scoperto la trisomia 21 e che ha utilizzato la diagnosi prenatale per aiutare i bambini con la sindrome di Down a curarsi (non nascose la sofferenza portata per il resto della vita per il fatto che la sua scoperta venne usata contro di loro) - c'è un episodio bellissimo: mentre riceveva un premio, un ragazzo Down gli saltò al collo per ringraziarlo per quanto l'avesse aiutato e si fosse sentito amato da lui. È preferibile una società di uomini imperfetti ma che si sentono voluti o di persone efficienti che non possono chiedere mai e quindi nemmeno ricevere amore?
Il mistero miserabile di Dario Fo
di Roberta Vinerba
Tratto da La Bussola Quotidiana il 22 febbraio 2012
Adesso ha 37 anni, una militanza anticlericale che lo ha portato fino allo “sbattezzo” ci siamo ritrovati: ha cercato la sua “vecchia” educatrice per riaprire un dialogo con la Chiesa.
Alcune colazioni, alcuni pranzi dal “Cinese” e un’intesa fatta di rispetto e di voglia sincera di capirsi. La maturità ha portato con sé i ripensamenti, le domande senza più rabbia, soprattutto la certezza che di un bene e di un male oggettivo c’è bisogno e che l’uomo, a qualunque religione appartenga o non appartenga è capace di comunione davanti alla sofferenza. “Ero affamato, ero assetato, ero carcerato e mi hai soccorso”. Il mio amico si dice convinto che non solo su un ordine morale oggettivo si può e si deve capirsi, ma anche sul piano della carità, quella che soccorre l’uomo quando è incappato nei briganti.
Perché racconto di questo spaccato privato della mia vita e delle relazioni che la costellano? Perché il mio amico mi frulla in testa da ieri, da quando ho letto di come Dario Fo, il premio Nobel per la letteratura nel 1997, (Nobel per la letteratura si noti bene, dato ad un attore: si vede che l’idea di letteratura a Stoccolma è piuttosto relativa), ha di fatto negato ad un gruppo di volontari cattolici di svolgere una raccolta di beneficienza ai margini di un suo spettacolo. Siamo a Varese, Fo mette in scena Mistero buffo e al contempo fa dire ai volontari dell’associazione cattolica “Banco nonsolopane onlus” che non avrebbe fatto nessun annuncio dal palco in favore della raccolta fondi per i meno abbienti (come richiesto, in accordo con il direttore del teatro dai volontari), perché il suo pubblico di sinistra non avrebbe capito la presenza, contigua al suo spettacolo, di un banchetto di volontari ciellini.
La notizia di per sé si commenta da sola. L’uomo in questione, l’artista che è universalmente (sic) riconosciuto come libero e ribelle, geniale, l’inquieto cantore dell’animo umano, si mostra invece ossequiosamente, miseramente obbediente e asservito alle logiche della più crassa e vecchia ideologia. Sì perché a interessare non è l’uomo che ha fame, che ha bisogno di una casa, che deve pagare le bollette, no, si sa: le ideologie hanno sempre avuto problemi con il principio di realtà. Per esse, la realtà è ciò che deve diventare a partire da un’idea geniale di uomo e di umanità che è sempre un a-priori. L’uomo e il suo mondo devono piegarsi ad entrare nelle categorie ideologiche che confezionano il mondo perfetto, chi non ci stà è cacciato fuori dal consesso umano. Le ideologie hanno l’abitudine di disegnare un mondo dove i buoni e i cattivi sono ben distinti e vi è un potere, buono s’intende, incaricato di distinguere e di rieducare, nel caso vi fosse bisogno.
L’ideologia non vede l’uomo, vede l’uomo-che-vorrebbe-fosse. Così Fo ha voluto vedere l’uomo come un essere-di-sinistra rispetto ad uno-di-destra. Quello di sinistra ha i suoi codici e i suoi benefattori che non devono assolutamente interagire con i poveri e i benefattori di destra. Viene da ridere, lo ammetto, se non fosse che di questo pensiero miserabile ne sono ancora intessuti non solo i dinosauri come Fo, ma anche i tanti loro nipotini prigionieri anch’essi di un pensiero ideologico che non ha mai ripudiato quella falce e quel martello che insieme alla svastica hanno massacrato, nel nome del loro uomo, milioni di esseri umani. Veri, quelli, tragicamente di carne ed ossa. Il mio amico che non è cristiano ma che è alla ricerca sincera della verità e senza i paraocchi dell’ideologia, è anni luce avanti rispetto a Fo e a chiunque si lasci accecare da un pensiero allineato e irrealistico. Dimenticavo: il raffinato filantropico pubblico di Dario Fo ha offerto ben 15 euro per i poveracci. Ma si sa, il pane è per il popolino, le arti per gli intellettuali. Così è, se vi pare.
22 febbraio 2012
Don Giussani, chiesta l'apertura della causa di beatificazione
Chiesta l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione
di don Giussani
22 febbraio 2012
Questa sera, 22 febbraio 2012, al termine della Messa celebrata nel Duomo di Milano dal cardinale Angelo Scola, nel XXX anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di CL e nel VII anniversario della morte di don Luigi Giussani, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, renderà noto di avere presentato all’Arcivescovo di Milano la richiesta di apertura della causa di beatificazione e di canonizzazione di don Giussani.
La richiesta è stata inoltrata oggi stesso, 22 febbraio 2012, giorno dell’anniversario e festa della Cattedra di San Pietro, attraverso la postulatrice nominata dal Presidente della Fraternità canonicamente costituitosi Attore di detta Causa: si tratta della professoressaChiara Minelli, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università degli Studi di Brescia.
L’istanza è stata presentata all’Arcivescovo di Milano − nella cui diocesi è nato, è vissuto e ha operato don Giussani, sacerdote diocesano −, a norma della Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister, 25.I.1983, delle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in causis sanctorum del 7.II.1983, nn.11-15, e dell’Instructio Sanctorum Mater, 17.V.2007, Parte II, Titolo I, art. 25 § 1 e 2, affinché l’Arcivescovo voglia disporre l’apertura dell’Inchiesta Informativa Diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità di monsignor Luigi Giussani.
Dando la notizia, don Carrón si augura che «la Madonna − “di speranza fontana vivace” − ci aiuti ogni giorno a diventare degni delle promesse di Cristo e della immensa grazia che nel carisma di don Giussani abbiamo ricevuto e ancora riceviamo».
l’ufficio stampa di CL
Milano, 22 febbraio 2012.
Il mercato nero della maternità
Soltanto un intervento del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, può essere determinante. Lo sanno bene le 188 donne che per domani hanno organizzato un giorno di mobilitazione nazionale per il ripristino della legge 188, quella legge che impediva la firma delle dimissioni in bianco. Quella norma è stata abolita dalla stessa maggioranza che c’è ancora oggi in Parlamento, non sarà quindi semplice nemmeno per il ministro Fornero, che pure è donna, madre e d’accordo sul merito, inserire la legge nella riforma del lavoro di cui si discute. Non sarà semplice, ma un segnale forte andrebbe dato, e in fretta. Si potrà aiutare il ministro con la mobilitazione generale, con la voce unita di tutte le parlamentari donne, non importa di quale partito, con un risveglio della coscienza collettiva e non solo femminile, magari. Si potrà aiutare, sì. Ma poi dovrà essere lei a imporsi con determinazione. E’ semplicemente inaccettabile che la maternità sia e resti soltanto un problema, uno svantaggio, una malattia, una minorazione: sia per un datore di lavoro sia per un’azienda sia per uno stato. E’ inaccettabile. Punto. (tratto da "Il Foglio")
Il Papa invita la Sua Chiesa ad un bagno di umiltà
(di Michele Brambilla, tratto dalla "Stampa")
21 febbraio 2012
Salire sul tram a Milano e sentirsi dire "Scusi, lei legge ai suoi bimbi le storie dei pinguini gay?
A Milano, due giovani attrici, ingaggiate da Radio Pop per fare rispettivamente la parte della mamma “diversa” e dell’educatrice “progressista”, salgono sul tramvai 12 e stimolano i passeggeri a reagire rispetto a un certo prodotto. Si tratta di un libro illustrato per bambini, dedicato, appunto, ai figli delle coppie gay e di cui si propone l’introduzione nelle scuole. “Cosa ne pensa signora e signore? Non crede che libri così dovrebbero finalmente essere in dotazione alle maestre? Non pensa che i bambini debbano essere istruiti fin da piccoli alla diversità di famiglie? Cosa ne pensa di questi due pinguini-papà?”.
Naturalmente, come potrebbe accadere per qualsiasi prodotto di largo consumo – profumi, reggiseni, giarrettiere, sigarette eccetera – ogni passeggero del tram 12 dice la sua. E, naturalmente, circola nell’aria qualcosa di allegramente conformista. Col mainstream si è sempre un po’ in difficoltà a dire la propria, il martello del circuito mediatico è quello, i gusti sono gusti, c’è libertà e via pedalare. Perciò si avverte anche via radio questo strano imbarazzo dei più, pudore, timore a dire parole sbagliate, ansia di rispondere con parole giuste, tipo: “che male c’è?”, “i tempi cambiano”, “è il progresso”.
Eppure stiamo parlando di un prodotto – libri illustrati per i più piccoli - di cui si propone il lancio in un mercato molto particolare (la scuola, i bambini). E lo si propone - nel caso con una finta mamma e una finta maestra - come se fossero cosmetici o reggiseni. Non fanno forse la stessa simpatia i testimoni di Geova che ti fermano all’angolo della strada o ti suonano al citofono per proporti la verità rivelata nei loro opuscoli?
Così, molto similmente agli apostoli di un Geova, queste attrici sul tram recitano l’apostolato della religione rivelata che viene giù dal Nord America e che è sbarcata nelle Commissioni Onu e Ue. E che adesso, di passaggio su un tram, è lì a fare i suoi proseliti, la sua bella opera di promozione, senza dover star lì rispiegare presupposti (tipo che non esiste natura, non esiste verità, non esiste realtà) e l’ovvietà che se sei democratico e non sei un “omofobo” (invenzione lessicale per impedire che tu possa esprimere un pensiero diverso dal mainstream) non puoi non ammettere che la scuola deve aprirsi alla novità.
“Ma i bambini non hanno problemi del genere”, bisbiglia una passeggera del 12. E allora? “Non crede signora che sarebbe bene che i bambini venissero preparati fin da piccoli?”. Suppergiù è la stessa cosa che disse qualche giorno fa la ministra Fornero, sebbene sia una cosa che non c’entri niente con l’articolo 18. Vabbè. Bisogna incominciare a martellarglieli in testa anche ai bambini certe cose. O volete lasciar filtrare in pubblico il pensiero che non è vero che magari i bambini crescono meglio con due papà o con due mamme, piuttosto che con quei vecchi arnesi di uomo e donna?
Benissimo, se questo è il mainstream progressista e colto, e a forte processo top-down, cioè dalle élite verso il basso, da Goldman Sachs (il cui AD ha appena fatto il suo atto di sottomissione e devozione all’agenda gay) a Radio Popolare, uno si chiede: e il compagno Pier Paolo Pasolini dov’è finito? Dov’è finito l’esame critico dell’omologazione, la libertà di pensiero, la critica ai rapporti di produzione e di riproduzione, quando l’agenda diventa urgenza di promozione ideologica e consumistica?
Già, una volta si andava al Cinema Mexico a rivedere per la trentesima volta un musical rock trasgressivo fatto di travestimenti e di ironia gay. Adesso si va sul tram e, come una setta avventista qualsiasi o commesse dell’Oreal, si vendono e si comprano prodotti di largo consumo capitalista che producono gli impiegati alla Glbt. Con i migliori auguri, di ovuli surgelati, di embrioni brevettati e di bambini pionieri, delle multinazionali.
Twitter: @LuigiAmicone
La lezione di Tangentopoli
Certo, basterebbe guardare il politico Antonio Di Pietro per capire a cosa è servita Tangentopoli. E basterebbe riprendersi in mano le cifre fornite la scorsa settimana dalla Corte dei Conti (corruzione in Italia stimata a 60 miliardi di euro, il 50% dell’intera Unione Europea) per capire a cosa non è servita. Perché a venti anni esatti di distanza la corruzione è ancora tutti lì, anzi la situazione è peggiorata. In compenso quelle inchieste hanno aperto la porta del successo a magistrati, avvocati, politici e giornalisti che a diverso titolo hanno beneficiato di Tangentopoli.
Proprio le cifre allarmanti diffuse dalla Corte dei Conti ci rendono inevitabile una riflessione, ma a partire dall’esperienza della gente comune, quella che venti anni fa osannava i giudici di Milano, tirava monetine a Bettino Craxi, ed esultava per ogni politico ammanettato. Quella gente comune che credeva – gli era stato fatto credere – che bastassero un po’ di processi e soggiorni nelle patrie galere per ripristinare la legalità.
Vent’anni dopo veniamo invece a sapere che la corruzione è addirittura peggiorata. A essere proprio sinceri non era necessaria la Corte dei Conti: basterebbe vedere i tempi biblici necessari per terminare una qualsiasi opera pubblica, o mettere a confronto l’altissimo livello raggiunto dalle tasse con l’infimo livello dei servizi erogati per capire che la corruzione è un fenomeno del presente e non del passato.
Per Di Pietro dipende dal fatto che nel frattempo sono state approvate leggi per facilitare i corrotti ed è così diventato più difficile beccarli. Ma non è questo il punto. Il problema è che davanti a un male evidente e ingiustificabile, per combatterlo si è posta la speranza in qualcosa di inadeguato. Abbiamo vissuto l’ossessione dei ladri, ha giustamente detto Giuliano Ferrara su Il Foglio del 20 febbraio. Il ladro come capro espiatorio, il colpevole che permette di allontanare da noi ogni responsabilità; e il giudice come soluzione, il giustiziere che rimette le cose a posto senza che a noi sia chiesto di implicarci con la realtà. E basta vedere come ancora oggi si applaude ai blitz della Finanza nelle località più note e frequentate dai vip per capire che non è cambiato nulla. E’ il solito scarico di responsabilità che punta sempre al di fuori di noi per individuare il colpevole, anche delle nostre debolezze.
E’ per questo che il problema della corruzione non è mai stato affrontato adeguatamente e il nostro paese sprofonda. La corruzione economica è figlia della corruzione morale, e riguarda tutta la società, riguarda ognuno di noi. E non sarà certo un progetto di educazione alla legalità che potrà cambiare il corso degli eventi. Ce lo ricorda provvidenzialmente il tempo di Quaresima che inizia domani: soltanto il cambiamento del nostro cuore è una risposta adeguata alla domanda di giustizia che ci portiamo dentro.