29 settembre 2010

Manuale di voto per i politici cattolici: no a chi sostiene coppie gay e aborto

«Tra un partito che contemplasse nel suo programma la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e il cui segretario fosse separato dalla moglie e un partito che contemplasse nel programma il riconoscimento delle coppie di fatto e il cui segretario fosse regolarmente sposato, la preferenza andrebbe al primo partito». Non ha dubbi l’arcivescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi, già segretario del Pontificio consiglio per la Giustizia e la Pace, autore di un libro destinato a far discutere: Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa (Cantagalli editore, 236 pagine, 14,50 euro).

Si tratta di un vero e proprio manuale, dedicato proprio ai politici cattolici e ai cattolici che intendono candidarsi a ogni livello. Un libro scritto per iniziare a realizzare il «sogno» di una rinnovata presenza cristiana in politica, come ricorda nella prefazione il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, definendo «utile» e «tempestivo» il manuale, perché «coglie un bisogno reale» e afferma «alcune verità della vita del politico che spesso vengono invece stemperate».
L’arcivescovo di Trieste, esperto di dottrina sociale della Chiesa, ritiene che dopo il tempo della resistenza, quello degli anni Sessanta e Settanta, «durante i quali la laicità della modernità ha lanciato verso la Chiesa e i cattolici una violenta guerra culturale», e dopo il tempo dell’attesa, sia ora il tempo della «ripresa». Nel manuale sono passati in rassegna in modo sintetico e incisivo i criteri che stanno alla base dell’agire politico dei cattolici: la dottrina sociale della Chiesa tra fede e ragione, i suoi principi, la laicità della politica, la coscienza del cattolico in politica e i principi non negoziabili. Quindi si specificano i contenuti: la difesa della vita, la protezione e valorizzazione della famiglia, la libertà di educazione, il diritto alla libertà religiosa, il lavoro e «la lotta sussidiaria alla povertà», la riforma dello Stato, l’immigrazione, l’ambiente, l’identità europea.
Centrale è il richiamo alla coscienza e alla sua libertà, invocata talvolta da politici cristiani per rivendicare decisioni in contrasto con l’insegnamento della Chiesa. L’arcivescovo spiega che quando nell’azione politica ci si trova di fronte «a scelte che implicano anche delle azioni moralmente inammissibili», come ad esempio il «riconoscimento per legge del diritto ad abortire, o delle leggi che permettono il sacrificio di embrioni umani, oppure quelle che legalizzano l’eutanasia» o riconoscono le coppie gay, il cattolico «non può dare il proprio assenso». Allo stesso modo, continua il manuale, anche il cittadino non dovrebbe dare il proprio voto a partiti che contemplino nei loro programmi queste posizioni. Crepaldi non si nasconde come dietro la «diaspora» dei cattolici in politica vi sia «soprattutto una carenza di tipo dottrinale». «Significa – aggiunge – che la dottrina della Chiesa non è convenientemente promossa e recepita, che i pastori non vengono adeguatamente accostati, che i teologi non operano tenendo conto della loro funzione ecclesiale, che le università cattoliche non producono una coerente cultura cattolica, che le librerie cattoliche non fanno il loro dovere di evangelizzazione».
Infine, un esempio che ben si attaglia alla realtà politica italiana: tra il partito che nel programma difenda la famiglia fondata sul matrimonio avendo un leader separato dalla moglie, e un partito che ha nel suo programma il riconoscimento delle coppie gay, avendo un leader regolarmente sposato, «la preferenza andrebbe al primo partito». «È infatti più grave – conclude Crepaldi – la presenza di principi non accettabili nel programma che non nella pratica di qualche militante, in quanto il programma è strategico ed ha un chiaro valore di cambiamento politico della realtà più che le incoerenze personali.

(di Andrea Tornielli- tratto da "Il Giornale" del 24/09/2010)

27 settembre 2010

A Voghera il sangue dei vinti fa ancora paura

Se sessantacinque anni vi sembran pochi... Pochi, evidentemente, per un’equa valutazione della storia italiana recente, anche di quella più amara, com’è stata la guerra civile. C’è chi non vuole assolutamente mettere la parola fine alle lacerazioni interne, anche perché è su queste divisioni che ha campato e tutt’ora campa.
Notizia recentissima: il comune di Voghera autorizza l’affissione di una targa sulle mura del castello della città in ricordo di sei cittadini vogheresi fucilati nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione.
Qualcosa di strano? No, un doveroso atto di riconoscimento verso quei vinti che dopo la morte violenta sono stati misconosciuti, calunniati, condannati ad una perpetua «damnatio». Ma insorgono le prefiche dell’antifascismo in servizio permanente effettivo e gridano allo scandalo. Ugo Scagni, nato in provincia di Pavia nel 1931, storico locale della Resistenza, è il più indignato: «È una vigliaccata - strepita - dando il benestare a simili proposte si processa la Resistenza», mentre le varie associazioni (ormai formate per lo più da gente che con la Resistenza ha avuto poco a che fare, stante che i veri partigiani per ragioni anagrafiche ormai se ne sono quasi tutti andati) gli fanno il coro: «È uno scempio, uno scempio».
Ma chi erano questi fascisti fucilati senza processo il 13 maggio 1945? Erano sei militari, di cui tre giovanissimi, arruolati da pochi mesi, forse non c’era stato neppure il tempo di addestrarli all’uso delle armi. Luigi Albini aveva 17 anni, Sergio Montesanto ne aveva 21. Eugenio Quarto Vannutelli ne aveva soltanto sedici. Gli altri tre - Pierino Andreoni, Giuseppe Piccinini e Arnaldo Romanzi - ne avevano rispettivamente 48, 38 e 36.
Ma quattro di loro - Albini, Andreoni, Montesanto e Vannutelli - appartenevano al 2° Battaglione di polizia più noto col nome tedesco di Sicherheitspolizei perché alla diretta dipendenza del comando tedesco. A questi uomini - come conferma Arturo Conti presidente dell’Istituto Storico della Rsi - era affidato il cosiddetto «lavoro sporco», dai rastrellamenti all’esecuzione delle fucilazioni decise dal tribunale militare. E in una zona di scontri violenti fra le forze militari italo-tedesche e le formazioni partigiane come fu la provincia pavese, è ovvio che tra le fazioni divampasse l’odio. Anche perché il reparto, prima saldamente nelle mani del colonnello Alfieri, passò, dopo la sua morte in uno scontro con i partigiani, a un colonnello Fiorentini molto meno rigoroso nel reprimere eccessi e illegalità dei suoi uomini.
Ma tant’è: che si fossero resi colpevole di eccessi oppure no, sugli uomini della Sicherheits piombò la vendetta partigiana che colpì anche il milite della Gnr Piccinini e il capitano delle Brigate Nere Romanzi. Erano del luogo, ben conosciuti e forse, proprio perché sicuri della propria buona fede, non avevano neppure pensato a nascondersi, forse si erano addirittura consegnati.
Quale che sia stata la storia di ciascuno di loro, è certo che una lapide in ricordo di una fucilazione forse ingiusta è ancora indigesta per tutti coloro che non vogliono deporre le armi dell’odio civile. Ma i tempi cambiano velocemente (anche se loro non se ne accorgono).
Se il sindaco di Voghera, Carlo Barbieri, si difende sostenendo che la decisione era stata presa dalla giunta precedente, nella città di Arcevia, in provincia di Ancona, il comune aveva fatto togliere d’autorità dalla chiesetta di Madonna dei Monti una lapide apposta in ricordo di tredici cittadini (tutti civili, questa volta, e completamente innocenti) fucilati nel 1944 dai partigiani come spie fasciste.
Ebbene, il Tar di Ancona ha annullato l’ordinanza e autorizzato l’affissione della targa. È tempo di mandare in pensione la faziosità degli irriducibili.

(tratto da "Il Giornale" del 26/10/2010)

24 settembre 2010

Gotti Tedeschi: "E' stato usato un errore per attaccare il Vaticano"


Da quando ho assunto la presidenza dello Ior mi sono impegnato con tutto me stesso, secondo le indicazioni ricevute dal Papa e dalla Segreteria di Stato, per rendere ogni operazione più trasparente e in linea con le normative internazionali antiriclaggio... Per questo oggi mi sento davvero umiliato».

C’è scoramento ma anche rabbia nelle parole di Ettore Gotti Tedeschi, 65 anni, piacentino, professore di «Etica della finanza» all’università Cattolica, presidente del Santander Consumer Finance, da un anno esatto presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana, e ora indagato per violazione delle norme antiriciclaggio. L’uomo al quale Benedetto XVI ha affidato il rinnovamento delle finanze della Santa Sede ammira la spiritualità dell’Opus Dei e a chi gli chiede quante ore della sua giornata dedichi a Dio e quante al denaro, risponde: «Cento per cento all’uno e cento per cento all’altro. Dio è sempre presente in tutto quello che faccio». Il Giornale l’ha intervistato.

Qual è stata la sua reazione alla notizia dell’inchiesta sullo Ior e su di lei?«Amarezza e umiliazione. Non saprei cos’altro dire. Insieme al direttore generale dell’Istituto, Paolo Cipriani, mi sono impegnato nell’affrontare i problemi per i quali oggi vengo indagato. Stiamo lavorando per entrare nella cosiddetta White List, cioè l’elenco dei Paesi che rispettano le norme internazionali antiriciclaggio e contiamo di farcela per dicembre. Ho un eccellente rapporto con la Banca d’Italia e c’è un continuo scambio di informazioni...».

Può spiegare che cosa è successo con il Credito Artigiano e quei 20 milioni di euro diretti a JP Morgan di FrancoforteIntanto chiariamo che si tratta di un giroconto Ior su Ior: semplicemente abbiamo trasferito del denaro per investirlo in bond tedeschi».

Perché non sono state rispettate le norme antiriciclaggio?«Noi stiamo attuando le norme. Nel caso oggetto dell’indagine si è trattato di un errore nelle procedure messe in atto con il Credito Artigiano. Ma l’operazione è chiarissima, non c’è nulla di nascosto né da nascondere: soltanto un trasferimento di fondi dello stesso Ior».

La Segreteria di Stato le ha rinnovato totale fiducia... «Ho incontrato il cardinale Bertone, e l’ho trovato molto preoccupato per quanto accaduto. Sono stato invitato a rimanere al mio posto, anche perché sto facendo esattamente ciò che mi era stato chiesto di fare, cioè rendere sempre più trasparente ogni operazione dello Ior. Questa è la precisa volontà dei miei superiori e per questo considero quanto sta accadendo… quasi contro natura! Un errore di procedura viene usato come scusa per attaccare l’Istituto, il suo presidente e più in generale il Vaticano».

Perché crede che qualcuno voglia attaccare lei o la Santa Sede?«Mi sembra che dal comunicato della Segreteria di Stato traspaia bene questo senso di stupore. Finiamo nel mirino proprio nel momento in cui stiamo lavorando più alacremente possibile per applicare la norme antiriciclaggio. Bertone ha già nominato il cardinale Attilio Nicola presidente dell’organo di vigilanza interno al Vaticano che dovrà seguire l’applicazione di tutte le norme per la White List. Siamo a disposizione per fornire informazioni, sarebbe bastato chiedercele invece di sbatterci in prima pagina».


(di Andrea Tornielli- tratto da "Il Giornale" del 23 Settembre")

22 settembre 2010

Ecco perchè il Papa che partiva sconfitto è tornato vincitore da Londra

Quando scrive i suoi articoli Ross Douthat non è certo anti ratzingeriano, anzi. Tuttavia qualcosa vorrà pur dire se, 24 ore dopo il ritorno dal Regno Unito di Benedetto XVI, anche un giornale come il New York Times che per mesi ha picchiato duro contro il Pontefice, ritenuto colpevole di aver coperto innumerevoli preti pedofili quando guidava l’ex Sant’Uffizio, parla di un Papa che “è riuscito a conquistare una folla calda ed entusiasta”. Douthat, giovane commentatore di cose religiose, ha scritto in questi termini del viaggio sulla carta “più difficile” di Papa Ratzinger: “Le proteste contro il Papa nel Regno Unito ci sono state ma sono rimaste un evento collaterale della visita. Così come, alla fine, la minaccia di un attentato terroristico non è riuscita a dominare la scena”. E ancora: “Non c’è dubbio che molti tra i cattolici inglesi non condividono tutti gli insegnamenti che il Papa propone. Eppure andando in migliaia ad ascoltarlo hanno voluto mostrare un dato di fatto che la maggior parte dei detrattori non capisce: tutti i cattolici, e insieme molti inglesi, hanno grande rispetto per il capo della chiesa cattolica, per il Papa. C’è un rispetto di fondo per una personalità importante. E’ questo che è emerso nei quattro giorni appena trascorsi”.

Insomma, anche se non tutti condividevano pienamente la linea papale, l’ateismo aggressivo e militante alla Richard Dawkins e Christopher Hitchens non è riuscito a prevalere in Inghilterra, nel paese divenuto tra i più secolaristi d’Europa. Diceva prima della partenza del viaggio un navigato monsignore della curia romana: “Il Papa, prima d’ogni viaggio, è sempre sconfitto. Poi arriva a destinazione e inizia a guadagnare punti. E così succede ogni volta: s’impone per essere l’opposto di come gli antagonisti lo descrivono e cioè mite e umile”. La mitezza, non a caso, è la cifra che vede in Ratzinger il vaticanista del Times Richard Owen che ieri alla Stampa ha dichiarato: “A ribaltare gli stereotipi e a far cambiare idea all’opinione pubblica inglese è stata la comparsa sulla scena di un personaggio completamente diverso da quello atteso. Un uomo mite, umile, che parla in modo gentile. Riflessioni profonde, proposte a voce bassa. Alla gente poi il Papa ha saputo regalare magia”. Magia? “Sì, l’esordio nel castello scozzese con la Regina è stata una carta vincente della visita. Gli inglesi hanno avvertito il fascino della tradizione unito al prestigio dell’autorità. La magia del papato accanto a quella della Corona. Passo dopo passo, la diffidenza della vigilia è divenuta calore”.
Così, ora dopo ora, il viaggio più difficile del pontificato è divenuto quello di maggior successo. Lo dice al Foglio Massimo Camisasca, per anni vicino a Wojtyla quale portavoce di Cl in Vaticano: “Il viaggio mi ha colpito. Benedetto XVI nel momento più difficile è riuscito a ribaltare i pronostici più nefasti. Forse mi sbaglio: ma dal punto di vista mediatico (e non solo) questo viaggio può rappresentare una svolta del pontificato. Un ribaltamento di prospettiva”.

L’attesa per quanto Ratzinger avrebbe detto prima in Scozia e poi in Inghilterra era tanta. C’era un certa ermeneutica sul Newman difensore del primato della coscienza da ribaltare, quella che vede nel pastore anglicano divenuto cardinale cattolico un propositore d’una visione liberale del cristianesimo. Ratzinger, a parte l’intenso discorso nella Westminster Hall dove ha ricordato l’indisponibilità della coscienza al sovrano e insieme il suo ancoraggio alla ragione umana e di conseguenza ai princìpi della fede, ha affondato poco il colpo su questa visione ben presente anche nel popolo inglese: un paese liberale sulla carta ma intollerante nella pratica soprattutto nei confronti di chi al relativismo dei valori intende contrapporre il fondamento etico del vivere civile.
John Allen, autorevole vaticanista americano, ha seguito il viaggio. Scrive sul National Catholic Reporter: “E’ vero, il Papa ha ribaltato i pronostici catastrofici”. Come? “In parte perché la sua figura è semplicemente più graziosa e gentile di quanto l’immagine pubblica non suggerisca, in parte perché, ancora una volta, ha affermato la sua ‘ortodossia positiva’. Ovvero “ha colpito ma l’ha fatto in tono positivo”.

E’ quella del Papa una strategia premeditata? Probabilmente sì. Comunque sia è una strategia che ha i suoi risultati. E il caso di Kate Hoey lo dimostra. Politica laburista, liberista e convintamente anti cattolica, d’improvviso durante il viaggio papale la Hoey ha annunciato che era stufa dei ‘cavilli usati dagli atei come un’ascia per macinare un libro già scritto contro il Papa’, e che avrebbe aderito di lì in avanti a un partito accogliente con Ratzinger.
Così, il Papa, si è comportato con gli anglicani. Prima ha catturato i loro consensi trattenendo gesti e parole nella solenne cornice del Lambeth Palace. Poi, il giorno dopo, incontrando i vescovi cattolici, ha detto parole chiare circa la sua idea di ecumenismo: profetica è la costituzione apostolica “Anglicanorum Coetibus” che prevede che le comunità anglicane che lo desiderino tornino sotto Roma. Un ecumenismo per tornare con Roma, dunque, e non per meramente dialogare.
Tra le fila cattoliche inglesi è nota una non totale condivisione di molte decisioni prese dal Papa: il motu proprio “Summorum Pontificum”, la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, l’“Anglicanorum Coetibus”… Dopo questo viaggio tutto potrebbe mutare. Anche la rivista cattolica The Tablet, non certo arruolabile nelle fila conservatrici del cattolicesimo anglosassone, ha insistito molto sul successo della visita. Non a caso ha riportato l’“historic welcome” che David Cameron ha rivolto al Papa. Scrive The Tablet: “Gli atei, i religiosi e anche cardinali hanno detto prima del viaggio che la Gran Bretagna è un paese laico. Non è così. L’ha ricordato Cameron che in scia al Papa vede un ruolo chiaro per la chiesa nella società”.
(di Paolo Rodari- tratto da "Il Foglio" del 21 Settembre 2010)

21 settembre 2010

E' più libero e felice chi fa balconing o una suora?


Ieri, tornando a casa dopo un week end di riposo, sono venuto a conoscenza della notizia di quel ragazzo italiano morto a Ibiza dopo aver probabilmente fatto 'balconing', la moda cioè che spinge i giovani d'oggi a saltare da un balcone all'altro di un hotel o di un palazzo oppure di gettarsi in una piscina d'hotel dal quinto, sesto o settimo piano.
Mentre vedevo scorrere le immagini di quella assurda tragedia, mi sono passati davanti agli occhi i volti di quelle ragazze che avevo incontrato poche ore prima a Pietrarubbia, nel Montefeltro. Ragazze, perlopiù giovanissime, che stanno preparandosi a fare un grande salto ben diverso da quello del balconing, ma per certi versi simile: diventare suore.
Ma cosa c'entra, direte voi, il 'balconing' con le suore? Ma che assurdo paragone si mette a fare Pandolfi stavolta?
Chi fa balconing o chi si fa suora, o io che scrivo, o tu che leggi, ha in fondo il medesimo desiderio in fondo al cuore: essere felici. Il problema è: come faccio io ad essere felice? Come fai tu ad essere felice? Come fa l'aspirante suora ad essere felice? Come fa il ragazzo che pensa di fare balconing ad essere felice?
Ecco, come si raggiunge la felicità? Il problema di oggi è che tutto è considerato opinabile e ognuno, secondo questo criterio, può trovare la sua felicità, magari facendo balconing, o magari facendosi suora: qualunque cammino va rispettato. Manca però un passaggio, decisivo. E provo a farmi aiutare dal grande Louis de Wohl con il suo libro 'La liberazione del gigante'. Ad un certo punto Tommaso D'Aquino e Piers discutono proprio sulla felicità e arrivano alla conclusione che 'la felicità consiste nel possedere il bene desiderato, qualunque esso sia, senza timore di perderlo'. Tommaso aggiunge però: 'Ora, nella vita terrena, abbiamo non solo il timore, ma la certezza di perderla, questa vita, perchè un giorno dovremo morire. Dunque, la vera felicità completa e perpetua non possiamo trovarla qui. La felicità perpetua non è che un' altra parola per indicare Dio. Amare Dio, ecco il vero scopo dell'uomo'.
Ora mi aspetto una marea di obiezioni: cos'è, uno deve 'soffrire' tutta la vita terrena, rinunciare a chissà cosa, farsi suora per essere poi felice nell'aldilà, un bel giorno? No, non è così!
Io a Pietrarubbia ho visto ragazze gioiose, felici, che si divertono, che si (come diciamo noi romagnoli) spataccano. I loro occhi brillano, il loro amore per il presente, per ciò che stanno facendo si tocca con mano. Sono certo che un ragazzo che fa balconing non ha quegli occhi lì.
Insisto: ma cos'è, uno per farsi felice deve diventare prete o suora? Ma neanche per idea! Figuriamoci! Ognuno ha la sua storia, la sua vocazione, il suo talento da esprimere. Il guaio è che tante volte non trova per la sua strada questo talento, questa vocazione e la strada diventa sempre più confusa, sempre più nebulosa e allora si cercano gli effetti speciali, magari ci si butta dal balcone in cerca di chissà che.
La chiamiamo libertà, ma in fondo quella è la prigionia più grande.
Cerchiamola la verà libertà, la vera felicità: io in quegli occhi di suore ho visto una libertà, una felicità, che raramente mi capita di incontrare in giro. E vorrei tanto imparare da loro. Vorrei tanto essere come loro. Non prete, non suora. Ma libero e felice, sì.

(di Massimo Pandolfi- tratto dal sito "Cultura Cattolica")

20 settembre 2010

Caro Gad, siamo tutti ungheresi

Gad Lerner, per prendere parte alla campagna dei politicamente corretti contro la scelta francese di smantellare i campi rom illegali, scomoda la storia che, secondo il titolo del suo articolo, farebbe addirittura “retrofront”.
Si domanda retoricamente se, con le espulsioni di qualche centinaio di rom, “l’Europa derogherà dalla sua conquista democratica più significativa, cioè la libera circolazione dei cittadini dell’Unione in tutti i suoi stati membri”. Poi, con un accento che se venisse da altri puzzerebbe terribilmente di razzismo, attribuisce alle origini ungheresi della famiglia di Nicolas Sarkozy le “pulsioni xenofobe” contro gli zingari. Insomma la storia, invece di seguire la freccia del progresso – identificato con l’annegamento delle identità in un indistinto multiculturalismo – si volgerebbe indietro, col rischio di ritornare alle mostruose tragedie del secolo scorso. Se la storia dell’Europa postbellica ha un segno, è quello di aver consolidato sistemi di governo basati sulla sovranità popolare. Ma anche il processo di centralizzazione continentale dei poteri normativi è una tendenza tutt’altro che univoca. In Europa si va affermando anche il principio che tende a delegare ai livelli territoriali superiori solo le scelte che non possono essere realizzate a quelli inferiori. Confondere la volontà di decidere anche in base a interessi legittimi del territorio con una marcia indietro della storia, puzza di razzismo ideologico. E allora, caro Lerner, siamo tutti ungheresi.
(tratto da "Il Foglio" del 18/09/2010)

19 settembre 2010

Ciascuno di noi è chiamato a cambiare il mondo


Le parole del Papa ad Hyde Park, ieri sera, dovremmo tenercele sempre davanti agli occhi.
Due estratti:

[…] L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore.
Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.

[…]Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste parole: “Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri” (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti. Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società.
Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr Mt 5,16).

17 settembre 2010

Il discorso di Benedetto XVI a Edimburgo

Pubblichiamo il testo integrale del discorso tenuto dal Papa ieri ad Edimburgo.

Maestà,
grazie per il Suo gentile invito a compiere una visita ufficiale al Regno Unito e per le Sue cordiali parole di saluto, a nome del popolo britannico Nel ringraziare Vostra Maestà, mi permetta di estendere i miei saluti a tutto il popolo del Regno Unito e porgere con amicizia la mano a ciascuno.
È un grande piacere per me iniziare il mio viaggio salutando i Membri della Famiglia Reale, ringraziando in particolare Sua Altezza Reale il Duca di Edimburgo per il suo gentile benvenuto datomi all'aeroporto di Edimburgo. Esprimo la mia gratitudine all'attuale e ai precedenti governi di Vostra Maestà ed a quanti hanno collaborato con essi al fine di rendere possibile questa occasione, fra cui Lord Patten e il precedente Segretario di Stato Murphy. Vorrei pure prender atto con profondo apprezzamento del lavoro svolto dal "All-Parliamentary Group on the Holy See", che ha grandemente contribuito al rafforzamento delle relazioni amichevoli che esistono fra la Santa Sede e il Regno Unito.
Nel dare inizio alla visita al Regno Unito nella storica Capitale della Scozia, saluto in maniera speciale il Primo Ministro Salmond ed i rappresentanti del Parlamento scozzese. Come le Assemblee del Galles e dell'Irlanda del Nord, possa anche il Parlamento scozzese crescere nel suo essere espressione delle nobili tradizioni e della distinta cultura degli scozzesi ed adoperarsi per servire i loro interessi migliori in spirito di solidarietà e di premura nei confronti del bene comune.
Il nome di Holyroodhouse, residenza ufficiale di Vostra Maestà in Scozia, evoca la "Santa Croce" e fa volgere lo sguardo alle profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni strato della vita britannica. I monarchi d'Inghilterra e Scozia erano cristiani sin dai primissimi tempi ed includono straordinari Santi come Edoardo il Confessore e Margherita di Scozia. Come Le è noto, molti di loro hanno esercitato coscienziosamente i loro doveri sovrani alla luce del Vangelo, modellando in tal modo la nazione nel bene al livello più profondo. Ne risultò che il messaggio cristiano è diventato parte integrale della lingua, del pensiero e della cultura dei popoli di queste isole per più di un millennio. Il rispetto dei vostri antenati per la verità e la giustizia, per la clemenza e la carità giungono a voi da una fede che rimane una forza potente per il bene nel vostro regno, con grande beneficio parimenti di cristiani e non cristiani.
Troviamo molti esempi di questa forza per il bene lungo tutta la lunga storia della Gran Bretagna. Anche in tempi relativamente recenti, attraverso figure come William Wilberforce e David Livingstone, la Gran Bretagna è direttamente intervenuta per fermare la tratta internazionale degli schiavi. Ispirate dalla fede, donne come Florence Nightingale servirono i poveri e i malati, ponendo nuovi standard nell'assistenza sanitaria che successivamente vennero copiati ovunque. John Henry Newman, la cui beatificazione celebrerò fra breve, fu uno dei molti cristiani britannici della propria epoca la cui bontà, eloquenza ed azione furono un onore per i propri concittadini e concittadine. Questi e molti altri come loro furono mossi da una fede profonda, nata e cresciuta in queste isole.
Pure nella nostra epoca possiamo ricordare come la Gran Bretagna e i suoi capi si opposero ad una tirannia nazista che aveva in animo di sradicare Dio dalla società e negava a molti la nostra comune umanità, specialmente gli ebrei, che venivano considerati non degni di vivere. Desidero, inoltre, ricordare l'atteggiamento del regime verso pastori cristiani e verso religiosi che proclamarono la verità nell'amore; si opposero ai nazisti e pagarono con la propria vita la loro opposizione. Mentre riflettiamo sui moniti dell'estremismo ateo del ventesimo secolo, non possiamo mai dimenticare come l'esclusione di Dio, della religione e della virtù dalla vita pubblica conduce in ultima analisi ad una visione monca dell'uomo e della società, e pertanto a "una visione riduttiva della persona e del suo destino" (Caritas in veritate, 29).
Sessantacinque anni orsono la Gran Bretagna giocò un ruolo essenziale nel forgiarsi del consenso internazionale del dopo-guerra, il che favorì la fondazione delle Nazioni Unite e diede inizio ad un periodo di pace e di prosperità in Europa, sino a quel momento sconosciuto. Negli anni più recenti la comunità internazionale ha seguito da vicino gli eventi nell'Irlanda del Nord, i quali hanno condotto alla firma dell'Accordo del Venerdì Santo ed alla devoluzione di poteri all'Assemblea dell'Irlanda del Nord. Il governo di Vostra Maestà e quello dell'Irlanda, unitamente ai leader politici, religiosi e civili dell'Irlanda del Nord, hanno sostenuto la nascita di una risoluzione pacifica del conflitto locale. Incoraggio quanti sono coinvolti a continuare a camminare coraggiosamente insieme sulla via tracciata verso una pace giusta e duratura.
Il governo e il popolo sono coloro che forgiano le idee che hanno tutt'oggi un impatto ben al di là delle Isole britanniche. Ciò impone loro un dovere particolare di agire con saggezza per il bene comune. Allo stesso modo, poiché le loro opinioni raggiungono un così vasto uditorio, i media britannici hanno una responsabilità più grave di altri ed una opportunità più ampia per promuovere la pace delle nazioni, lo sviluppo integrale dei popoli e la diffusione di autentici diritti umani. Possano tutti i britannici continuare a vivere dei valori dell'onestà, del rispetto e dell'equilibrio che hanno guadagnato loro la stima e l'ammirazione di molti.
Oggi il Regno Unito si sforza di essere una società moderna e multiculturale. In questo compito stimolante, possa mantenere sempre il rispetto per quei valori tradizionali e per quelle espressioni culturali che forme più aggressive di secolarismo non stimano più, né tollerano più. Non si lasci oscurare il fondamento cristiano che sta alla base delle sue libertà; e possa quel patrimonio, che ha sempre servito bene la nazione, plasmare costantemente l'esempio del Suo governo e del Suo popolo nei confronti dei due miliardi di membri del Commonwealth, come pure della grande famiglia di nazioni anglofone in tutto il mondo.
Dio benedica Vostra Maestà e tutte le persone del Vostro Reame. Grazie.

16 settembre 2010

Il Tar della Puglia: "Sì all'obiezione"


I medici obiettori di coscienza pugliesi hanno messo a segno una vittoria piena. Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Puglia ieri si è infatti espresso a favore del loro ricorso contro il bando della Regione in cui si aprivano le porte dei consultori pubblici solo a medici non obiettori, così da «bilanciare» il personale e garantire il «diritto» delle donne ad abortire. Nei fatti introducendo una grave discriminazione che aveva messo in allarme Ordini e associazioni.
Una sentenza di 21 pagine emessa a tempo di record (l’ultima udienza è stata giovedì scorso) che obbliga la Regione Puglia a «riservare» il 50% dei posti nei consultori pubblici agli obiettori in quanto «la presenza o meno di medici obiettori – scrivono i giudici amministrativi – è assolutamente irrilevante visto che all’interno dei consultori non si pratica materialmente l’interruzione, bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione/consulenza della gestante, ovvero vengono svolte funzioni di ginecologo che esulano dall’iter abortivo».
Si chiama «Potenziamento del percorso di nascita», ma la delibera della Regione Puglia del 13 marzo scorso nascondeva ben altro. Il provvedimento, voluto dall’assessore alla Sanità Tommaso Fiore, si basava sulle indicazioni contenute nel Piano regionale di salute 2008-2010 e parlava di «un progressivo riposizionamento del personale sanitario che solleva obiezione di coscienza». È su questo punto che le associazioni erano insorte ricorrendo al Tar e parlando di «discriminazione» bella e buona.
Anche per l’avvocato Nicolò Mastropasqua, che ha rappresentato in giudizio i medici obiettori, «il fatto è scandaloso sia perché va contro un diritto umano, non solo tutelato dalla legge 194 sull’aborto ma anche dalla Costituzione e dal diritto internazionale, sia perché si nasconde dentro una delibera lunga e dal titolo fuorviante».
Secondo la memoria presentata da Mastropasqua in occasione della presentazione del ricorso, «accettare la normativa della giunta Vendola significa aprire la strada legale perché gli obiettori siano espulsi anche dalle farmacie e dagli ospedali». Sulla fondatezza del ricorso Mastropasqua non aveva dubbi e scriveva: «L’obiezione è espressione della libertà di coscienza e non il capriccio di un circolo di intellettuali egoisti e annoiati.
Avversare e ostacolare l’obiezione determina un grave illecito morale e giuridico».
«Una procedura selettiva – gli danno ragione i giudici amministrativi – che escluda aprioristicamente i medici specialisti obiettori dall’accesso ai consultori appare discriminatoria oltre che irrazionale poiché non giustificata da alcuna plausibile ragione oggettiva».
Impressiona pensare che i consultori siano nati per rimuovere le cause dell’aborto, mentre oggi sono «sempre più utilizzati per lo scopo inverso – sosteneva nei giorni che hanno preceduto la sentenza Lodovica Carli, del Forum delle famiglie pugliese –. E avere il coraggio di arrivare persino a mettere per iscritto la discriminazione è davvero troppo». «Annullati gli atti la Regione – conclude l’avvocato dei medici obiettori – dovrà provvedere ad assicurare nei bandi questa 'riserva' di cui parla la sentenza e lo dovrà fare entro 30 giorni dalla notifica».
(tratto da Avvenire del 15 settembre 2010)

15 settembre 2010

Il Corano di Obama

Bellissimo articolo di Lorenzo Albacete, sacerdote negli Usa, pubblicato su "Il Sussidiario".
"L’11 settembre 2010 è arrivato e non è successo nulla di spettacolare. La grande maggioranza degli americani hanno ricordato quel giorno in modo pacifico e rispettoso. Qualche giorno prima, Terry Jones, un pastore evangelico di Gainesville, Florida, aveva annunciato la rinuncia a bruciare qualche centinaia di copie del Corano, dopo aver ricevuto la visita di eminenti leader evangelici che lo avevano sconsigliato dal mettere in pratica una simile azione. Alla fine, il pastore ha dichiarato che Dio stesso gli aveva ordinato di annullare il previsto rogo. A quanto pare, roghi pubblici del Corano vi erano già stati in passato, ma senza destare una grande attenzione. Inoltre, negli ambienti evangelici Jones è descritto come il capo di una congregazione marginale di nessuna importanza. Allora, perché il suo caso ha avuto così tanto rilievo sui media, anche su quelli internazionali? Il tono dei notiziari era molto serio: come avrebbe risposto il mondo musulmano a questo indescrivibile atto? Funzionari americani, dalla Casa Bianca in giù, hanno condannato il piano di Jones, compresi il Segretario di Stato Hillary Clinton e il consigliere presidenziale David Axelrod. Il generale David Petraeus ha ammonito Jones di non bruciare il Corano, perché avrebbe messo in pericolo le vite dei soldati americani. Lo stesso presidente Obama in televisione ha detto di Jones: “Se mi sta ascoltando, io spero che capisca che ciò che si propone di fare è completamente contrario ai valori americani.. questo … potrebbe danneggiare gravemente i nostri giovani in uniforme”. Jones avrebbe dovuto “ascoltare i suoi angeli più buoni” ha detto il presidente e annullare il suo “atto distruttivo.” (Gli angeli non devono essere riusciti a convincerlo, visto che a quanto pare è dovuto intervenire Dio).

In un commento sul suo blog, lo scrittore Bruce Bawer (che vive in Norvegia) si chiede: “Chi avrebbe immaginato, nel giorno del crollo delle Torri Gemelle, che nove anni dopo saremmo stati così spaventati dalle reazioni dei musulmani, che il piano di uno strampalato di bruciare qualche copia del Corano sarebbe diventato la notizia principale nei notiziari e avrebbe provocato addirittura l’intervento del presidente in persona per implorarlo di rinunciarvi? …Come abbiamo potuto diventare così timidi, così spaventati tanto in fretta? Come ha potuto un presidente americano, nel mezzo di due guerre e di una crisi economica, dare tanta importanza a una non-storia così insignificante?”Continua Bawer: “ Si possono annunciare progetti per bruciare pile di Bibbie, o di Bhagavad-Gita o Dhammapada, del Libro dei Mormoni o di Science and Health with Key to the Scriptures, o interi camion di copie della Torre di Guardia o di ogni altro testo religioso non musulmano senza che la Casa Bianca o il Pentagono convochino riunioni di emergenza e mettano le ambasciate in stato di allerta.”“Contrariamente a quanto dice Obama” conclude Bawer, “non si tratta dei ‘nostri valori come americani’; non si tratta di ‘libertà e tolleranza religiosa’. Si tratta di paura. Nove anni dopo che gli jiadisti hanno ammazzato 2977 persone sul suolo americano, lo spettacolo di leader americani tremanti di paura al pensiero che un pagliaccio potesse offendere il mondo musulmano è solo osceno”.
Gli americani sono quindi colpevoli di “islamofobia”, come recentemente suggerito dal Time Magazine in un articolo di copertina? O è tutta una creazione dei media, affamati di polemiche per riempire le loro ventiquattro ore di notizie? Diversi osservatori e pubblicisti cominciano a sospettare che gli americani siano meno nervosi di quanto appaiano dai notiziari. Qualcuno si spinge a suggerire che, malgrado i sondaggi e le vittorie del Tea Party nelle primarie, i Democratici potrebbero anche non subire un disastro nelle elezioni di metà legislatura del prossimo novembre.Questa settimana tempeste e uragani tropicali stanno tornando a minacciare le coste del Nordest. Questo potrebbe soddisfare il bisogno dei media e, invece di creare polemiche incontrollate, spingerli a parlare di pericoli reali.

Un santo descritto da Pasolini


In un'interessante analisi del cattolicesimo dei nostri tempi, Luigi Amicone, direttore di Tempi, riporta alcuni passaggi di una favola di Pasolini pubblicata postuma.

In questo appunto un “affabulatore” racconta «la storia di un intellettuale dall’aria infantile ma un po’ ripugnante. (…) Non obeso ma tondo, gonfio di una carne insana, giallastra, (…) tutto tondo come se fosse fatto di cerchi concentrici, le sopracciglia tonde, gli occhi tondi, le guance tonde, trentacinque anni già cascanti, il mento tondo, la bocca tonda, (…) fronte abbondantemente stempiata, (…) radi capelli chiari – vagamente ascetici, da prete di paese, da avvocato di provincia». A chi corrisponde questo identikit? Chiunque sia questo misterioso intellettuale cattolico, un bel giorno egli viene visitato dal diavolo in persona. L’uomo «non sapeva ancora – all’inizio di questa nostra storia – quale fosse il fine reale della sua vita». Ci pensa Belzebù a rivelarglielo. «Allora, se tu non vuoi dirlo, te lo dirò io: lo scopo della tua vita è il Potere. Chiedimi attraverso che cosa vuoi il Potere e io te lo darò». Al che l’intellettuale sembra reagire dapprima con comicità fantozziana («Se lo dici tu…»), poi, come punto sul vivo, con un deciso: «Voglio raggiungere il Potere attraverso la Santità». Segue cammino di santificazione e abbandono dei beni del mondo. «Visse in pura povertà (presso un convento della città natale, molto frequentato). Cominciò a elaborare un pensiero, che, non essendo affatto eretico, era tuttavia innovatore rispetto alla tradizione ecclesiastica. Si avvicinò moderatamente ai movimenti cattolici di sinistra, proclamando sempre con contrizione e modestia la sua fedeltà al Vaticano. Si precluse ogni contatto sessuale, e l’amore per la donna fu soppiantato dalla castità. Man mano che tutte queste operazioni venivano portate avanti, fino al punto estremo, i sintomi del potere cominciarono a manifestarsi. Intorno al nostro intellettuale santo si cominciò a creare prima un’atmosfera di prestigio, poi di rispetto, poi di profonda e silenziosa venerazione, e infine di un’alta, ispirata aspettativa». La fiaba precipita nel dramma della radicalizzazione «della dissociazione teorica in cui era vissuto preparando la santità». Fede, Speranza e Carità si separano definitivamente. «Ogni forma di innovazione del pensiero religioso si rivelò impensabile al di fuori dell’eresia. Il cattolicesimo di Sinistra si rivelò inconciliabile col Vaticano». E siamo al colpo di scena: «È stato uno Scherzo. Il Diavolo non è una persona, ma una maschera». A manifestarsi, qui, secondo la narrazione pasoliniana, è Dio. Però, la conclusione della fiaba non lascia affatto tranquilli. Invitato dalla «Forza Luminosa» ad andare per la sua strada senza volgere lo sguardo indietro, l’uomo si incammina ma dopo pochi passi cede alla tentazione e si ritrova pietrificato come Lot. E Dio dov’è finito? «La Forza Luminosa era là. Ma non aveva più la faccia di Dio. Aveva la faccia del Diavolo».

14 settembre 2010

Lo scherzetto abortista di Vendola


Si chiama Potenziamento del percorso di nascita. Ma la delibera della Regione Puglia del 13 marzo 2010 nasconde dietro questo titolo ben altro itinerario. Voluto dall’assessore alla Sanità Tommaso Fiore, il progetto si basa sulle indicazioni contenute nel Piano regionale di salute 2008-2010. Leggendolo si scopre che ci sarà «un progressivo riposizionamento del personale sanitario che solleva obiezione di coscienza». Ma che significa esattamente riposizionamento? Lo si capisce dall’allegato alla delibera. Al punto 4. 1. 4 si legge infatti che «il progetto viene parzialmente modificato destinando le risorse all’assunzione esclusiva dei medici ginecologi e di ostetriche (...) per integrare la dotazione organica di personale di n. 1 medico ginecologo non obiettore, n. 2 ostetriche non obiettrici per Asl». L’assessore Fiore, in un articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 14 luglio scorso, in risposta ai medici che hanno impugnato la delibera davanti al Tar, ha obiettato che «i medici cattolici a volte leggono cose non scritte nelle delibere». La cosa fa sorridere Donato Dellino, ginecologo del San Paolo di Bari e tra i firmatari del ricorso, secondo il quale «la norma parla chiarissimo. E data la sua gravità penso che il Tar possa solo pronunciarsi a nostro favore». Anche per l’avvocato Nicolò Mastropasqua, che ha presentato il ricorso al Tar pugliese, «il fatto è scandaloso sia perché va contro un diritto umano, non solo tutelato dalla legge 194 sull’aborto ma anche dalla Costituzione e dal diritto internazionale, sia perché si nasconde dentro una delibera lunga e dal titolo fuorviante». Secondo l’avvocato accettare la normativa della giunta Vendola significa aprire la strada legale «perché gli obiettori siano espulsi anche dalle farmacie e dagli ospedali». Impressiona pensare che i consultori siano nati per rimuovere le cause dell’aborto, mentre oggi sono invece «sempre più utilizzati per lo scopo inverso», racconta Lucia Crescini, medico presso un consultorio privato dell’Emilia Romagna. «Sì perché, di fatto – continua la dottoressa Crescini – quello che vuole Vendola nella mia regione è già realtà. Da quando mi sono laureata, nel 1980, ho cercato di entrare in consultorio diverse volte. Arrivavo sempre al vertice della graduatoria, ma poi trovavano le scuse per buttarmi fuori prima ancora di lasciarmi cominciare a lavorare. Alla fine ho dovuto rassegnarmi a stare nel privato. Però una legge qui non c’è. E avere il coraggio di arrivare persino a mettere per iscritto la discriminazione mi sembra davvero troppo. Anche se forse può spronarci a reagire a livello nazionale».
Per Dellino, infatti, non si può continuare a subire la situazione «come accade da troppo tempo. Bisogna mettersi insieme e reagire». Perché prima ancora che legislativo il problema pare essere «la paura e la solitudine che hanno ridotto l’obiezione a un atto passivo che il medico nasconde. Dovesse passare una legge simile i medici più deboli potrebbero cedere e accettare di farsi esecutori di un omicidio». Forse l’unico fatto positivo è che un’ingiustizia tanto palese e messa per iscritto può far reagire l’opinione pubblica e dare più coraggio ai medici obiettori. Nicola di Natale, presidente dell’associazione Medici Obiettori, conferma che «è vero, la discriminazione di fatto c’è. Ma anche una debolezza dei medici, basta pensare che l’Ordine non si è ancora pronunciato sul fatto. Però, la follia della giunta Vendola ci costringe a ripensare perché facciamo obiezione e cosa voglia dire». Da anni sembra che molti medici che si dichiarano obiettori lo siano più di nome che di fatto: «C’è chi stabilisce i limiti dell’obiezione e chi la sminuisce, come fosse un atto passivo. Ma la posta in gioco è diversa: io non potrei mai accettare che il mio lavoro si riduca a un non fare. Quando faccio obiezione non dico di no alla donna, ma entro in rapporto con lei. L’aiuto, le propongo un’alternativa e mi implico. Che medico e uomo sarei altrimenti? Di certo né libero né realizzato».
E questo non vale solo per il medico. Lo dimostra Crescini, che ricorda che le donne non aspettano altro che qualcuno le guardi: «Quando arrivano in consultorio convinte di abortire non hanno nessuno che le abbia mai messe davanti ad un’alternativa. Io comincio i colloqui così: “Sappia che se si siede non le faccio il certificato, ma se vuole parliamo”. Accettano sempre e paiono fiumi in piena. Posso dire che circa il 90 per cento di loro cambia idea». Ma cosa rispondere a quanti dicono che con l’aumento degli obiettori i consultori non rilascerebbero più i certificati abortivi, non lasciando quella libertà di scelta che comunque la 194 prevede? L’avvocato Mastropasqua risponde «che è una bufala. I certificati li può rilasciare qualsiasi medico, tanto che la legge non prevede questa attività nei consultori. Non c’è argomento che tenga. Perciò, se il Tar difendesse la delibera compirebbe un palese atto antidemocratico che porteremmo di fronte al Consiglio di Stato e, se non bastasse, alla Corte di giustizia europea».


(di Benedetta Frigerio- tratto da "Tempi" del 31/08/2010)

13 settembre 2010

L'Europa sarà islamica. J'accuse di Gheddo, decano dei missionari italiani


I musulmani saranno maggioranza in Europa”. Le parole choc di Piero Gheddo, decano dei missionari italiani e fondatore di Asia News, non sono passate inosservate al Daily Telegraph e al Daily Mail, due fra i massimi quotidiani britannici, che hanno lanciato le sue parole. Forse perché Papa Benedetto XVI si appresta a visitare il Regno Unito, dove il dibattito su democrazia e islamismo è rovente. Forse perché di questo si parla da molti giorni in Germania, a seguito della pubblicazione del controverso libro del banchiere dell’Spd Thilo Sarrazin. O forse perché non si leggeva da tempo una simile denuncia, senza infingimenti, da parte di un alto rappresentante vaticano. “La sfida va presa seriamente”, ha detto Gheddo a proposito del collasso demografico europeo e del vuoto riempito dall’islam. “I giornali o i programmi televisivi non parlano mai di questo. Prima o poi l’islam conquisterà la maggioranza in Europa”.
Lo scorso gennaio era stato il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, a dire che i musulmani sono pronti a riempire il vuoto europeo. “I musulmani hanno molte ragioni per indirizzarsi qui”, ha detto Vlk. “Ne hanno anche una religiosa, portare i valori spirituali della fede in Dio all’ambiente pagano dell’Europa, al suo stile vita senza Dio. La vita sarà islamizzata”.
Ne parliamo con lo stesso Piero Gheddo. “L’islam ha demograficamente in mano il futuro dell’Europa. Tutti gli anni gli italiani diminuiscono di 130 mila. Ma aumentiamo di 100 mila immigrati, che sono in gran parte musulmani. In Europa inoltre c’è un vuoto religioso enorme che viene riempito dall’islam. I musulmani hanno una forte fede religiosa e pregano addirittura in pubblico”. Il j’accuse di Gheddo è partito dalla frase pronunciata in Italia dal colonnello Gheddafi sul futuro islamico dell’Europa. “Giornali e televisioni hanno ridotto l’avvenimento a un caso politico, accusando il governo e il presidente Berlusconi di aver permesso al capo beduino di approfittare della nostra ospitalità per insultare il popolo e la nazione italiana. Ma la demografia e la convinzione religiosa dei popoli testimoniano contro di noi italiani ed europei”.
Le proiezioni sembrano confermare la fosca profezia di Gheddo. Nelle quattro più grandi città dei Paesi Bassi – Amsterdam, Rotterdam, l’Aia e Utrecht – il nome Mohammed è il più diffuso tra i nuovi nati. All’Aia, variazioni dei nomi del Profeta sono al primo, al secondo e al quinto posto. Le ultime stime demografiche del Pew Forum dicono che nel 2050, un quinto degli europei sarà musulmano. Il venti per cento. Due persone su dieci. Non a caso di “bomba demografica a orologeria che sta trasformando il nostro continente” ha parlato proprio il quotidiano britannico Daily Telegraph, pubblicando i dati emersi dagli studi più aggiornati. Anche nella capitale belga Bruxelles, e nemmeno da poco, al primo posto nella classifica dei nomi più diffusi tra i neonati c’è proprio Mohammed. Si calcola che, se la popolazione europea di fede musulmana è più che raddoppiata negli ultimi trent’anni, analogo raddoppio sarà registrato entro il 2015. E di lì, a salire, fino ad arrivare a quel 20 per cento globale.
In città come la francese Marsiglia e l’olandese Rotterdam la percentuale islamica è già ora del venticinque per cento, del venti nella svedese Malmö, del quindici a Bruxelles e del dieci a Londra, Parigi e Copenaghen. E ancora: in Austria, cattolica al novanta per cento nel Ventesimo secolo, l’islam sarà la religione maggioritaria nel 2050 nella popolazione giovanile. Per usare le parole irriverenti di Mark Steyn, l’intellettuale canadese di “America Alone”, se l’uomo europeo avesse quattro zampe e passasse le sue giornate sugli alberi sarebbe già finito nella lista delle specie in via d’estinzione.

(tratto da "Il Foglio" dell'11/09/2010)

11 settembre 2010

Islamofobia e Madre Teresa

Il progetto di costruzione di un centro islamico e moschea a Ground Zero ha provocato l'indignazione di molti americani e il recente dibattito pubblico su " islamofobia " in America.
Questi eventi ci spingono ad affermare quanto segue:
1. Si nota una tendenza crescente a manipolare le circostanze per renderle pretesto per creare una pubblica indignazione che spinga la gente a chiedere che si scelga tra due contrapposte posizioni ideologiche. Ci rifiutiamo di partecipare a un dibattito sull'opportunità o meno di costruire una moschea a Ground Zero. La realtà dell'Islam in America porta in primo piano questioni che vanno molto più in profondità rispetto a quella della costruzione di una moschea. In effetti, la questione cruciale e aperta è quella del senso religioso della persona umana.
2. Molti di coloro che appartengono all'élite culturale, così come molti di coloro che detengono le leve del potere nella nostra nazione, hanno abbandonato la tradizione religiosa che ha informato la vita della stragrande maggioranza dei loro antenati: il cristianesimo. Essi l'hanno ridotta a un codice morale o un mito vago, legata a un uomo morto da più di 2.000 anni. Invece, essi hanno abbracciato una " visione scientifica sulla vita umana. Ma la scienza non offre alcuna risposta a quelle domande che continuamente rodono il cuore umano, come il problema della giustizia, il senso della vita umana, o ai problemi della sofferenza e del male. In realtà, la scienza tende a soffocare la loro umanità e, di conseguenza, la cultura americana contemporanea si ritrova debole e tremendamente incerta su qualsiasi risposta alle domande universali dell'uomo e ai suoi desideri più profondii.
3. Poco più di due settimane fa, abbiamo segnato il 100° anniversario della nascita di Madre Teresa di Calcutta. Uno che la guarda vede una persona splendente umana, traboccante di amore per tutti, specialmente gli stranieri di religioni diverse. La sua umanità ha toccato tutti: religiosi e atei, musulmani e indù, ricchi e poveri. La sua vita invita chiunque cerca la verità ad aprire il suo cuore e la mente e riscoprire la novità del cristianesimo.
4. Per i cristiani la sfida dell'Islam, l'abbandono su larga scala del cristianesimo, il vuoto della cultura dominante, e la testimonianza di Madre Teresa significano l'urgente necessità di conversione. Papa Benedetto XVI ha recentemente affermato che "la conversione ... non è una semplice decisione morale che corregge la nostra condotta, ma piuttosto una scelta di fede che ci coinvolge interamente in stretta comunione con Gesù vivo e presente". Il Papa ci insegna la differenza tra islam e cristianesimo: la prima fonda la sua risposta al senso religioso della persona umana su un messaggio consegnato 1.400 anni fa, mentre il cristianesimo offre l'esperienza di un uomo che è morto ma è vivo e presente con noi oggi .
Come don Julián Carrón, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha recentemente affermato, il messaggio di Gesù e anche tutti i miracoli compiuti non sono stati sufficienti a superare la tristezza dei suoi discepoli sulla strada di Emmaus. Solo la sua reale presenza è in grado di incendiare i loro cuori ancora una volta.
5. Noi non siamo islamofobi, né abbiamo paura del nostro mondo post-moderno. Al contrario, invitiamo tutti a guardare Madre Teresa e l'Uomo, Gesù, al quale ella ha dato la sua vita. Nella Sua persona, oggi presente con noi, tutti possono trovare la Verità che sola esprime la libertà promessa all'America.

Comunione e Liberazione USA
11 settembre 2010

10 settembre 2010

L'importanza del viaggio di Benedetto XVI in Inghilterra

Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a delegare troppo.
Ciononostante il Papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra. Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti, il Papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati “papisti”. Fu proprio Enrico a inaugurare la politica della calunnia come arma principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona. Il popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma. Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà della chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere. La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali, in cui il Papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII. Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il Papa nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana. Per capire come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La chiesa cattolica” di G.K.Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare la sua conversione al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi, riviste, che li portano a un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda: la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto a una fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “In questo senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e non va mai oltre”. Il cattolico universalista considera l’amore per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello stato e, troppo spesso, in quella britannica dell’impero”.
Da Newman a Marshall. Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla chiesa di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello splendido “A ogni uomo un soldo”, sino a R.H.Benson ed Evelyn Waugh… Tutti questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità, evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro hanno amato nella chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo. Poi, in seguito al Concilio Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione dell’ecumenismo. Così abbiamo assistito a un fenomeno che per un cattolico è provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di rientrare nella chiesa di Roma! Questo ritorno in massa è stato favorito senza dubbio da più elementi. Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica oggi, nel mondo anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone, Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed, mentre gli aborti sono ben 500 al giorno. Numeri che dicono della graduale sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino.
Inevitabile che mentre l’odio contro Benedetto XVI monta, cresca anche il numero dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo. “La chiesa cattolica – scriveva Chesterton – è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i vecchi dogmi di un’epoca erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane sempre “nuovo”, e attuale.

(di Francesco Agnoli- tratto da "Il Foglio" del 09/09/2010)

Fumogeno contro Bonanni: denunciata la figlia di un Pm


È stata denunciata per lancio di oggetti pericolosi, danneggiamento aggravato e accensioni pericolose la giovane identificata ieri nel corso della contestazione al leader della Cisl, Raffaele Bonanni, alla Festa del Pd di Torino: sarebbe stata lei, anche secondo le immagini scattate durante il blitz, a lanciare il fumogeno che ha raggiunto il giubbotto di Bonanni poco prima che lasciasse il palco. Altre persone che hanno partecipato alla contestazione sono in via di identificazione. La ragazza, R. A, 24 anni fiorentina, come rileva la Stampa oggi, è figlia di un pm in servizio alla procura di Prato. La giovane, che farebbe riferimento al centro sociale Askatasuna, è già stata denunciata in passato per invasione di terreni ed edifici.
NO COMMENT DEL GENITORE - «Per deontologia e per correttezza, la mia risposta è no comment». Così il magistrato, risponde a chi gli chiede notizie sulla denuncia della figlia di 24 anni, studentessa di psicologia a Torino, ritenuta responsabile del lancio del fumogeno che ieri ha colpito di striscio il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, contestato alla festa del Pd nel capoluogo piemontese.
PERCHE' NON E' STATA ARRESTATA? - «Ci domandiamo in quale brodo culturale si cresca per arrivare a manifestazioni di odio come quello consumatosi ieri a Torino contro il segretario della Cisl Raffaele Bonanni durante la Festa Nazionale del Pd. Persone come R. A, figlia di un pubblico ministero, non provengono di certo da situazioni di emarginazione sociale, eppure si rendono protagoniste di gesti che alimentano un clima di intolleranza politica che purtroppo pare non conosca un ridimensionamento. Perchè questa ragazza non è stata arrestata ma solo denunciata per lancio di oggetti pericolosi e danneggiamenti?» Se lo chiede in una nota Beatrice Lorenzin, deputata del PdL. «Il livello di attenzione deve essere mantenuto alto davanti a questa escalation di violenza in cui l'avversario politico viene visto solo come un nemico da abbattere anche fisicamente. Sarebbe bene che il Pd si interrogasse su quale sinistra vuole essere quando sarà grande anche se è forte il sospetto che i buoi abbiano lasciato ormai il recinto».

09 settembre 2010

Moschea Dionigi

Poche parole, le stesse da anni, pronunciate dall’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi a pochi giorni dalla fine del Ramadan, “le istituzioni civili milanesi devono garantire a tutti la libertà religiosa e il diritto di culto. I musulmani hanno diritto a praticare la loro fede nel rispetto della legalità” e le polemiche sono ripartite, le stesse da anni.
Chi accusa la chiesa di connivenza con l’infedele, chi accusa le istituzioni di vessazioni xenofobe. L’unica novità in cronaca, quest’anno, è la proposta del vicesindaco, Riccardo De Corato, di un referendum, perché “la questione investe direttamente la sicurezza di Milano e dello stato”. La moschea di Milano è una questione religiosa e culturale cruciale, e allo stesso tempo un tormentone politico infinito. Anche perché la materia è complessa. Innanzitutto il nome. A Milano di moschea c’è n’è solo una, in via Meda, in cui si radunano gli islamici moderati della Coreis. Un’altra è nel comune di Segrate; sono le poche d’Italia, con Roma e Catania. I nomi noti di viale Jenner, via Quaranta o via Padova corrispondono ufficialmente a Centri culturali islamici nei cui locali – capannoni o scantinati malandati e insufficienti, in precarie condizioni igieniche – si ritrova per la preghiera del venerdì parte della popolazione musulmana cittadina (centomila persone). Una parte sola: il 3 per cento secondo De Corato, il 10-20 secondo altre fonti, perché non tutti gli islamici, a partire dalle donne, li frequentano. Il problema dell’insufficienza dei luoghi di culto è però concreta e si materializza ogni venerdì, tant’è che anche quest’anno la grande preghiera di fine Ramadan si svolgerà nel tendone del teatro Ciak. Ne conseguono problemi di viabilità, ordine pubblico. Per non parlare del portato politico di queste situazioni non regolate. La diocesi si è sempre espressa per la soluzione, in spirito di dialogo, di quello che ritiene innanzitutto un problema “pastorale” e anche per prevenire un deterioramento delle situazioni sociali: se ne occupa il Servizio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo, retto da monsignor Gianfranco Bottoni, all’insegna dell’“offrire ai fedeli della nostra stessa fede l’esempio e l’esperienza di sincere amicizie e proficue cooperazioni”. Inoltre, c’è la preoccupazione per la salvaguardia del principio di libertà religiosa.
Non a caso il professor Paolo Branca, docente di arabo alla Cattolica ed esperto di relazioni tra le due religioni, boccia in toto l’idea del referendum: “Inconcepibile voler sottoporre a referendum un diritto costituzionale”. Ciò che però, secondo i critici, sfugge nelle posizioni della diocesi è che la mancata soluzione del problema non deriva solo da cattiva volontà, o peggio, della politica. Il vero motivo vero per cui né il comune né il ministro dell’Interno – che nel frattempo ha istituito un Comitato per l’islam italiano, una cui commissione si occupa proprio delle moschee – intervengono è che i gruppi dirigenti delle comunità islamiche a Milano non rappresentano un interlocutore affidabile in materia di legalità, sicurezza, messaggi veicolati ed eventuali infiltrazioni fondamentaliste. La questione non è solo se esiste il diritto di culto – esiste – o se esista un problema logistico – esiste pure quello – ma di avere una controparte con cui stabilire le regole. Anche questo dovrebbe essere ricordato dalla chiesa, quando muove le sue critiche.
La necessità è del resto riconosciuta anche da chi non ha nessun pregiudizio sull’islam. Spiega ad esempio Martino Pillitteri, coordinatore di Yalla Italia, la rivista dei giovani islamici di seconda generazione: “In via Quaranta non vanno i giovani: perché hanno tagliato con l’islam tradizionale ed etnico che vedono e sentono lì. E non ci va nemmeno quella fascia di musulmani moderati, integrati che non ama mescolarsi in ambienti, pure brutti e maltenuti di quel tipo”. E’ per questo che una moschea, magari bella, sarebbe importante, per Pillitteri: “Potrebbe contribuire a rompere quel mondo chiuso”. Ma, aggiunge, occorre “una serie di prerequisiti, tra cui che le prediche del venerdì siano riprese e trasmesse sottotitolate in Internet”. E a chi obietta che questo è un atteggiamento discriminante? “Rispondo che questo islam costituisce di fatto un’eccezione, e come tale va trattato”. Posizioni su cui concorda anche Branca, che ritiene però il problema innanzitutto politico: “Tettamanzi ha fatto solo una petizione generale e in ogni caso la chiesa è contraria ad aperture indiscriminate, come anche all’insegnamento dell’islam a scuola. E’ la politica che, evidentemente, preferisce non risolvere il problema”
(tratto da "Il Foglio" dell'8 Settembre 2010)

07 settembre 2010

Giudicare o non giudicare?


Dopo la notizia che Gianna Nannini aspetta un figlio, a 54 anni, il Corriere ha aperto il dibattito invitando solo donne a commentare il fatto.
L’iniziativa dice, a mio avviso, di quanto la mentalità femminista sia penetrata ovunque, portando danni enormi all’idea della necessità dell’alleanza maschio-femmina. Eppure (ammesso che sia vero quello che si dice sulla vicenda), sarebbe stato interessante chiedere anche a degli uomini: voi vendereste il vostro seme per un bambino, che poi non vedrete forse mai, come è accaduto nel caso della Nannini? E’ giusto utilizzare il seme maschile come una merce qualsiasi? Oppure (ma la domanda potrebbe essere fatta, ovviamente, anche alle donne): le piacerebbe essere stato progettato, da sua madre, coscientemente, già orfano di padre? Così purtroppo non è: c’è tutta una cultura che ritiene che il padre, in fondo, importi poco; come ce n’è un’altra, quella che sponsorizza i matrimoni gay, che ritiene che né padre né madre, in fondo, servano più a nulla.
Per questa cultura il diritto è solo quello dell’adulto, del più forte, di chi può decidere: il bambino chiamato all’esistenza non viene neppure contemplato, e i suoi diritti non esistono affatto. Detto questo vorrei provare a dare una lettura cattolica della vicenda, visto che non è molto facile trovarne una. Si parte dal dato razionale, scientifico: a spese di chi sono stati prelevati gli ovuli per il figlio della Nannini? Mi spiego: quale donna ha venduto i suoi ovuli, pur correndo il rischio, causa l’iperstimolazione ovarica sempre necessaria in questi casi, di incorrere in tumori, sterilità e quant’altro? Quale sarà la salute fisica del bambino nato in un corpo non più naturalmente adatto a condurre una gravidanza? Ancora: quale sarà la condizione spirituale di un figlio che all’età di soli sedici anni si troverà, oltre che senza un padre, con una mamma-nonna, di settant’anni, certamente incapace di comprenderlo al meglio, e di seguirlo nella sua crescita? E come si sentirà, la mamma, quando il figlio, verosimilmente, si vergognerà di lei di fronte agli amici? Quando le chiederà conto dell’assenza di un padre? Quando magari, come non è raro accada, la accuserà per le sue sconfitte adolescenziali?
Non c’è alcun dubbio: secondo l’ottica cattolica, che a mio avviso coincide con quella naturale, razionale, quello di Gianna Nannini è stato un gesto non d’amore, ma di sommo egoismo. Un egoismo che la fecondazione artificiale sta trasformando in regola. Una dottoressa britannica del centro per la salute riproduttiva di Leeds, infatti, ha dimostrato in una sua ricerca che il fenomeno del social freezing, cioè del prelievo e del congelamento dei propri ovociti in età giovane, perché siano utilizzati più avanti, sta diventando parte della cultura inglese. “Nonostante fosse chiaro il costo economico e quello fisico…otto studentesse di medicina e quattro di sport su dieci si sono dette pronte a iniziare questo percorso per assicurarsi una gravidanza futura (cioè volutamente procrastinata, ndr) con ovociti giovani. Per non rinunciare alla carriera” (la Repubblica, 6/7/2010).
Sommo egoismo, dicevo. Questo è il giudizio cattolico, che gran parte dei cattolici non vogliono più dare, in nome di una vago sentimentalismo. Dimentichi che Cristo è venuto per indicarci cosa è bene e cosa è male; dimentichi del passo di san Paolo: "Giudicate ogni cosa, trattenete ciò che vale" (1 Tess 5,21).
Ma se il giudizio sul fatto è inequivocabile, oggettivo, quello sulla persona è altra cosa. Il cristiano lo sa bene: non rifugge dal prendere posizione, dall’opera faticosa del discernimento, anzitutto riguardo alle sue proprie scelte, ma non giudica mai l’intenzione, la colpevolezza soggettiva, di chi il peccato ha compiuto. Perché, secondo il catechismo di san Pio X, affinchè un peccato grave oggettivo sia tale anche soggettivamente, occorrono, oltre alla materia grave, anche la piena avvertenza ed il deliberato consenso. Sa la Nannini, ciò che sta facendo? Lo sa pienamente, e pienamente vi assentisce? Lo sa solo Dio. In questo senso va inteso il detto evangelico: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37).
Chi sono io per giudicare la colpevolezza insita nel gesto, oggettivamente egoista, della Nannini? Scriveva il compianto cardinal Giuseppe Siri, che aveva una concezione cattolica dell’esistenza che molti suoi confratelli, nel post concilio, non possedevano più, scambiando la carità con il cedimento all’errore: “Noi siamo sempre pronti a condannare. E invece di condannare faremmo meglio a dire che, nelle condizioni in cui si sono trovati tanti nostri fratelli, saremmo stati probabilmente molto peggio di loro. Questo, non per decurtare l’orrore del peccato: il peccato è peccato, è quello che è. Ma gli uomini si distinguono dal loro peccato; ne saranno macchiati, ma sono un’altra cosa. Il peccato loro può essere grande, ma la capacità loro di risorgere può essere ancora più grande. Ed è con questo sguardo che si debbono vedere gli altri”. Verità e Carità, ancora una volta, non vanno disgiunte: perché nel cristianesimo una non può stare senza l’altra.
(di Francesco Agnoli- tratto da "Il Foglio" del 2/09/2010)

06 settembre 2010

La vera unicità di Guareschi? La Voce del Cristo


Il 'Mondo piccolo' sembra avere omologhi nel mondo grande.
Non è di oggi la notizia che qualche affezionato lettore di Giovannino Guareschi ritrovi in qualche film o romanzo, affinità elettive con i personaggi di don Camillo e Peppone. Era già accaduto quando Giovannino, scontata la condanna per la pubblicazione delle lettere di De Gasperi su Candido, nell’attesa di finire i sei mesi di libertà vigilata nella casa di Roncole, viene attaccato dalla stampa il 10 gennaio del 1956. Paese Sera scrive: «Secondo il quotidiano austriaco Neues Oesterreich, Guareschi ha copiato don Camillo e Peppone». E nel sommario: «I due personaggi - a quanto afferma il quotidiano­ risalgono ad un libro uscito più di 25 anni or sono nella Stiria, autrice una signora di Graz, Hélène Haluschka». L’attacco a Guareschi in quel caso è mirato a distruggere la sua credibilità. Pubblica lettere false su Candido così come pubblica romanzi copiati. Valsero a poco le smentite della diretta interessata: molti giornali non le pubblicarono nemmeno. E’ di tutt’altro tono, invece, la notizia entusiasta di Fulvio Fulvi, pubblicata all’interno dell’inserto, che ritrova nei romanzi dello scrittore francese Gabriel Chevallier una sicura fonte d’ispirazione per Guareschi. La notizia ci rallegra, ma ci sono diverse ragioni non solo stilistiche che dimostrano come sia difficile pensare ad una filiazione diretta dei personaggi di Guareschi dall’autore francese.
La genesi della nascita del 'Mondo Piccolo' e dei personaggi di Giovannino è complessa. Prima nasce Peppone, molti mesi prima di don Camillo, nei tre racconti usciti su Candido sotto il titolo di 'Gazzettino di Roccapezza'. Qui il prete si chiama don Patirai, e non è ancora don Camillo. Il paese è in montagna e non è la Bassa. Quei racconti escono nel maggio del 1946 ma solo alla vigilia di Natale dello stesso anno nasce don Camillo. Guareschi ha capito quello che vuol fare ma non l’ha ancora bene a fuoco dal punto di vista narrativo. E questo dimostra come sia difficile pensare che Guareschi attinga da una saga precedente già ben collaudata.
Ma c’è un elemento che contraddistingue Guareschi dalle sue possibili fonti: il Cristo. La figura del Cristo è tutta di Giovannino.
Quella è la genialata, non solo letteraria, che lo ha portato in tutto il mondo e continua a renderlo attuale. Quel Cristo straordinario che parla bonario e misericordioso alla sua gente, capace però anche di baratri di silenzio con il suo amato don Camillo, è il vero 'deus ex machina' dei racconti di Giovannino. E’ il Cristo che parla, autorevole e comprensivo, unico esempio geniale nel secolo nietzschiano della morte Dio, la vera invenzione di Guareschi. Senza il Cristo anche le altre figure di Peppone e don Camillo perdono luce. La voce del Cristo, che parla attraverso la coscienza di Guareschi, è un invito per tutti i cristiani, e non solo, a riflettere sul ritrovare la voce di Dio nella parte più sacra della nostra interiorità. La nostra voce più profonda che ci parla nella verità della coscienza. E poi la religiosità unica e irripetibile di Guareschi, come ha dimostrato Giovanni Lugaresi nel suo libro Guareschi, Fede e libertà (Mup editore), è assente nelle altre fonti.

(di Guido Conti- tratto da Avvenire del 05/09/2010)

05 settembre 2010

La gerarchia del moralismo

Sono tempi duri per i moralisti editoriali in servizio permanente effettivo.
Oltre alle vicende del patron di Repubblica Carlo De Benedetti – e oltre alla storia della multa per insider trading combinata ad alcuni azionisti di una ex società del gruppo di CDB – su alcuni giornali come il Fatto Quotidiano ieri è stato nuovamente descritto il presunto conflitto di interessi di Corrado Passera, relativo a un prestito concesso con motivazioni assai dubbie a una impresa alberghiera di famiglia (poi dirottato nell’acquisto di una società finanziaria a Madeira). Si tratta naturalmente di piccole cose, tanto piccole che vengono presentate dalla stampa tutt’al più come ombre o come pecche. Certo, sarebbe interessante censire le classificazioni operate dai diversi organi di stampa per presunti reati più o meno analoghi. Si scoprirebbe, per esempio, che quelli attribuiti a Denis Verdini – nostro partner editoriale, è sempre bene ricordarlo – hanno il marchio indelebile e vergognoso della “cricca”. Altri, come le vecchie scalate editoriali dei “furbetti” senza protettori nel sistema bancocentrico, diventano “crimini finanziari”. E quando sotto il maglio del moralismo finiscono i CDB e i Passera? Al massimo la vicenda “fa specie”. Giornali e giornalisti sono naturalmente liberi di usare i sostantivi e gli aggettivi che preferiscono, e si può capire che usino una certa circospezione quando si tratta dei loro editori o simili (e chi non l’ha fatto mai?); ma allo stesso tempo è difficile che i lettori non si siano fatti un’idea piuttosto malinconica di certe classificazioni.

(tratto da "Il Foglio" del 3/09/2010)

Chesterton contro Gheddafi


Pubblichiamo un articolo di Edoardo Rialti pubblicato sul Foglio di mercoledì 1° Settembre. Un modo diverso di analizzare le affermazioni di Gheddafi della scorsa settimana.

E’ sera in Egitto, e un turista inglese corpulento e ansimante, vestito di bianco impeccabile, accompagnato da una signora dai capelli rossi e l’aria gentile e paziente, sua moglie, osserva le strade e le persone. Tornato in albergo prende il proprio taccuino di appunti e riflessioni, e scrive: “Lungo la strada per il Cairo uno può notare almeno una ventina di gruppi esattamente uguali alla Sacra Famiglia nei dipinti della fuga in Egitto, con una sola differenza: che è l’uomo a cavalcare l’asino”. Siamo nel 1919, e l’uomo era G. K. Chesterton, diretto a Gerusalemme; avrebbe poi raccolto i reportage delle varie tappe del suo viaggio-pellegrinaggio in un volume del 1920, “The New Jerusalem” (non più pubblicato in Italia da oltre settant’anni e di cui riproponiamo qui alcuni stralci in una traduzione inedita, ndr). (...) Il viaggio nel tempo che Chesterton compie e annota via via che si muove nello spazio, da Londra, a Parigi, Roma, il Cairo e infine Gerusalemme, riflettendo sulle peculiarità delle diverse fasi della storia e delle civiltà, sono sempre suscitate innanzitutto da un particolare visivo. Così è anche nel caso dell’islam, che ha conquistato l’oriente e l’Africa un tempo romane, eppoi cristiane e bizantine. Il giornalista inglese è al Cairo, e guarda: “Dalla sua superba altitudine il viaggiatore ammira per la prima volta il deserto, da cui giunse la grande conquista”. Per prima cosa un’immagine: “La prima vista del deserto è simile a quella di un gigante nudo a distanza”.
Chesterton continua a guardare, ed ecco, pian piano, emergere una scoperta, che porta in sé una considerazione assai più vasta: “Solo coloro che hanno visto il deserto nei dipinti generalmente lo pensano del tutto piatto. Ma quando la mente si è abituata alla sua monotonia, ecco un curioso cambiamento prenderne il posto: parrebbe strano dire che la monotonia della sua natura diventa novità; ma chiunque provasse il comune esperimento di dire qualche parola ordinaria come ‘luna’ o ‘uomo’ una cinquantina di volte, questi troverebbe che l’espressione è diventata straordinaria per semplice ripetizione”. Questa è “la via del deserto”, la sua filosofia e l’ultimo orizzonte di quanto in esso nasca, il grande segreto delle “religioni del deserto, specialmente dell’Islam”. Noi “pensiamo al deserto e alle sue rocce come antiche; ma in un certo senso sono innaturalmente nuove, ed ecco che possiamo cominciare a comprendere sia l’immensità che l’insufficienza di quella potenza che emerse dal deserto, la grande religione di Maometto”.

Pochi grandi artisti occidentali hanno trovate parole così semplici e magnanime come quelle di Chesterton – l’innamorato campione dell’occidente che aveva scritto la ballata “Lepanto” e il romanzo “L’osteria volante” in cui denunciava la minaccia di una islamizzazione della società inglese – per tessere un vero elogio dell’islam: “Nel cerchio rosso del deserto, nel luogo tenebroso e segreto, il profeta scopre le cose ovvie. Non lo dico come semplice scherno, giacché le cose ovvie vengono facilmente dimenticate, ed è proprio vero che ogni civiltà elevata decade nello scordare le ovvietà”. Ma ecco poi giungere, con un sorriso e inchino rispettoso, come nei migliori duelli, il guanto di sfida: “L’islam era contento con l’idea di possedere una grande verità, in effetti una verità colossale. Si trattava d’una verità così grande che era difficile accorgersi che si trattava d’una mezza verità”. La stessa grandezza della religione musulmana ne costituisce il massimo limite: “In altre parole, il musulmano, l’uomo del deserto, è abbastanza intelligente dal credere in Dio. Ma il suo credo manca di quell’umana complessità che deriva dall’istituire paragoni”. Invece lo sguardo di un poeta, e di un vero filosofo, vive di paragoni, perché questi soddisfano sia l’immaginazione che la ragione, salvando la misteriosa, affascinante complessità del cosmo; un uomo come Chesterton non si sarebbe mai accontentato per niente di meno, mentre “per farla breve, l’uomo del deserto tende a semplificare troppo, e apprendere la sua prima verità come la verità ultima”.Per Chesterton l’uomo senza pensieri non è chi non pensi a niente, ma inaspettatamente, e qui egli cita e chiama in gioco l’amato Stevenson, “chi non abbia un pensiero da contrapporre all’altro mentre aspetta il treno alla stazione”.

Questa dialettica vitale è il cuore della grande cultura occidentale. E’ un luogo davvero comune parlare dei “paradossi di Chesterton”: ma è proprio qui che essi attingono la loro forza, e il loro significato: si rivelano supremamente intelligenti, proprio perché costringono a scoprire nessi laddove non ce li aspetteremmo. Un “ateo di ferro” come il giovane C. S. Lewis – che trovò in Chesterton “lo scrittore più ragionevole che avesse mai letto” – li definiva i bagliori accecanti della spada di un guerriero che lotti per la vita; una cosa tremendamente seria, e capace di fare breccia nelle corazze più dure, come la sua, che qualche anno dopo, anche grazie a Chesterton, si convertì. Invece “i musulmani hanno un pensiero, e uno supremamente vitale; la grandezza di Dio che livella tutti gli uomini. Ma i musulmani non hanno un altro pensiero da contrapporre, perché davvero non dispongono di altro. E’ la frizione tra due realtà spirituali, tradizione e invenzione, o sostanza e simbolo, che permette alla mente di accendersi”. I milioni di lettori la cui mente sia stata accesa dalle parole di Chesterton, spesso fino a cambiare radicalmente opinioni e vita, lo possono testimoniare.L’islam predica e propugna l’unità di tutti gli uomini, ma livellandone le differenze e specificità; la sua sterile uguaglianza “è quella del deserto e non del campo arato”. Di qui il sorgere d’un genere tutto peculiare di fanatismo, l’ideologia di ciò che viene sentito come ovvio: “Fanatismo suona come il piano contrario di buon senso, eppure, cosa abbastanza curiosa, sono facce della stessa medaglia. Il fanatico del deserto è pericoloso proprio perché prende la sua fede come un fatto, e neppure come una verità nel nostro senso più trascendentale. Divide i musulmani dai non musulmani proprio come dividerebbe l’uomo dal cammello”.In sintesi, la migliore definizione dell’islam è che questo costituisce “un movimento, una reazione per la semplicità”. Tuttavia questo livellamento è ormai caratteristica diffusa anche di un occidente che ha smarrito la conoscenza di sé: “Ogni cristiano moderno che critichi così il movimento islamico farebbe altrettanto bene a criticare se stesso e il proprio mondo. Perché invero molte cose moderne sono semplici movimenti al modo del movimento musulmano. Al massimo costituiscono delle mode, in cui una cosa viene esagerata perché era stata prima trascurata”.Ma cosa, dunque, contraddistingue il vero sguardo occidentale, figlio del cristianesimo? Un appassionato, verrebbe da dire spregiudicato amore per la complessità dell’umana esperienza, salvando e abbracciando quello che altrimenti finirebbe ridotto o censurato: e qui il giornalista inglese evoca soprattutto due grandi bacini: il rapporto col passato, ed il rapporto con il sesso. Entrambi questi fattori giocarono un ruolo fondamentale per il convertito Chesterton, che come poi Lewis avrebbe potuto benissimo definirsi “un pagano convertito in un mondo di puritani apostati”. Da quando Dio si è fatto uomo, tutta la storia umana, nelle sue glorie e nelle sue bassezze, diventa, per così dire, “un affare divino”, e questo permette di guardare al passato, personale e collettivo, con quel sentimento di “pathos” e una “ironia” altrimenti impensabili, “che divideva il cuore dei primi cristiani in presenza della grande arte e letteratura pagana”. Non si può che immaginare un Chesterton deliziato ed entusiasta ad ascoltare dal cielo le parole di Benedetto XVI a Ratisbona, o al Collegio dei Bernardini. “La cristianità, se possibile, non deve perdere niente”. Così, rispetto alle tradizioni culturali la civiltà cristiana ha potuto amare gli antichi senza venerarli ideologicamente (come invece accadde con Aristotele nei sapienti musulmani), o criticarli senza doverli distruggere. Nell’autentico sguardo cristiano troviamo sempre “questa combinazione che non costituisce un compromesso, ma piuttosto una complessità fatta di due entusiasmi contrari; come quando gli Anni Bui copiavano i poemi pagani mentre negavano le leggende pagane; o quando i papi del Rinascimento imitavano i templi greci mentre negavano gli dei greci”. Invece “Saladino, il grande guerriero Saraceno, non fece che spogliare le piramidi per costruire una fortezza militare in cima al Cairo. E’ un poco difficile comprendere quale sia il dovere dell’uomo nei confronti della Sfinge, e così i mammelucchi la usarono del tutto come bersaglio”.
Pochi autori del ’900 hanno cantato con tanta appassionata gioia di Chesterton la grande avventura dell’attrazione per una creatura che sia altra e diversa da sé, l’epica gioiosa della sessualità. Basti pensare a “Le avventure di un uomo vivo”, dove il protagonista escogita mille espedienti per sedurre e fare l’amore con mille donne dai nomi diversi, che in realtà sono solo la sua unica, amatissima moglie. Predicendo che si sarebbe arrivati ad un mondo da incubo in cui si sarebbe potuti divorziare per “incompatibilità”, Chesterton nel 1920 ribatteva che il bello delle donne è proprio quello di essere del tutto, incompatibilmente, meravigliosamente diverse dagli uomini. E proprio nel bacino della religione in cui Dio si è fatto uomo (maschio), la donna, “il sesso debole” sono state elevate a una dignità senza pari. Chesterton si divertiva a dire che Dio avrebbe inventato il matrimonio “per nobilitare l’uomo, giacché senza le donne gli uomini resterebbero sempre dei barbari”. Quello che diceva per la ragione potrebbe essere detto del rapporto con l’altro sesso: lo amava troppo per adorarlo, proprio perché lo conosceva bene. Egli, le cui ultime parole svegliandosi del coma per poi morire qualche istante dopo, sono state un “Ciao, mia cara” rivolto alla moglie, notava sorridendo che “ovunque sia cavalleria c’è cortesia; e ovunque sia cortesia c’è commedia. Non c’è commedia nel deserto”. E nell’usare quest’ultima parola sicuramente l’uomo che aveva scritto di non voler andare in cielo se non avrebbe ritrovato il tetto della propria casetta appena fuori Londra, e sua moglie dentro ad aspettarlo, sapeva di riprendere anche il titolo con cui il più grande poeta cristiano aveva cantato nella Firenze del ’300 il suo viaggio verso Dio, che era anche e sempre il suo viaggio verso la donna che gli aveva per sempre cambiato la vita.Invece “è ammirabile che l’islam ammetta l’uguaglianza di tutti gli uomini, ma si tratta di una uguaglianza tra maschi”. Per Chesterton le donne costituivano il vertice della creazione, e come tale vanno trattate: “La cavalleria non è un’idea ovvia. Si tratta di un delicato equilibrio tra i sessi che conferisce il più raro e poetico genere di piacere a coloro in grado di coglierlo”; mentre, osservando la struttura sociale islamica nota che “il maschio musulmano è, specialmente nella propria famiglia, re, prete e giudice. Quel che voglio dire è che non possiede solo il regno, la potenza e la gloria, ma persino il glamour. […] Egli può comprendere la pietà per il più debole; ma la reverenza per il più debole è per lui semplicemente senza senso”.Questo è per Chesterton “l’uomo del deserto, che si muove e non si posa mai, ma che possiede molte superiorità alle razze senza posa delle città industriali”. Ma tutti i movimenti e gli echi devono arrestarsi da qualche parte. Mentre le verità parziali, più o meno grandi, più o meno nobili – e in questo caso Chesterton nota che si tratta di una realtà che dura da oltre 1.300 anni e per la quale tanti “uomini semplici e seri e splendidi” hanno dato la vita – “non possono fare altro che muoversi; non hanno trovato dove riposare”. Al pari del femminismo, e del comunismo, molto meno profondi, l’islam è tormentato dalla sua riduttiva semplicità. La differenza rimane sempre la stessa, proprio laddove ad uno sguardo superficiale parrebbero le maggiori somiglianze. E’ un luogo comune che al fondo le professioni di fede non fanno che indicare la stessa nobile ultima realtà. Non dicono tutte che c’è un Dio? E’ vero, ma “come lo dicono” sottende immense differenze, dalle conseguenze altrettanto immense per la vita dell’uomo. Per rispondere Chesterton torna ancora una volta all’immagine, allo sfondo da cui tutto è nato: “il messaggio più elevato di Maometto è un pezzo di divina tautologia. Proprio il grido che Dio è Dio è una ripetizione di parole, come le sabbie e i cieli burrascosi del deserto che si ripetono ancora e ancora. Quella frase è come un’eco eterna, che non può smettere mai di ripetere le stesse sacre parole. Mentre molte persone, per esempio, immaginano che il Credo di Atanasio sia zeppo di vane ripetizioni, ma questo perché le persone sono troppo pigre per ascoltarlo, o non abbastanza lucide per comprenderlo. Vi si usano gli stessi termini, come in una proposizione di Euclide, ma come in una proposizione di Euclide i passaggi sono tutti altrettanto differenziati e progressivi”. E’ questa la radice della straordinaria tendenza innovativa della cultura occidentale: non potrebbe essere altrimenti in un cosmo culturale la cui religione sia la più progressista e materialista – per dirla con Rodney Stark e Romano Guardini – che si possa immaginare. In Cristo Dio stesso si è definitivamente coinvolto con la storia umana, e quindi è sempre possibile scoprire cose nuove, sul mondo e su stessi. “La filosofia del deserto può solo cominciare ancora e ancora. Non può crescere; non può disporre di ciò che i protestanti chiamano progresso e i cattolici sviluppo”. E qui Chesterton dà prova della salute e della solidità di questa prospettiva con un’immagine che solo un simile sguardo potrebbe permettersi di suscitare: volete sapere se la filosofia che abbracciate funziona, è davvero in grado di rispondere esaurientemente al mondo? Ancora una volta, dipende da quanto somigli al fare l’amore, perché “i credi condannati come complessi possiedono qualcosa del segreto del sesso: prolificano i pensieri”.

In questi giorni il leader libico Muammar Gheddafi ripete ogni volta che può che all’Europa converrebbe convertirsi in massa all’islam, e che le donne sono molto più rispettate nella sua religione. Francamente si sente tanto la mancanza di una Fallaci che possa chiedergli se egli condivida il cattolicissimo pensiero di Chesterton secondo cui “Dio avrebbe creato gli uomini solo come scusa per creare poi le donne”. Ma si sa, e Chesterton ce l’aveva già detto, “non c’è commedia nel deserto”.