28 settembre 2006

Susanna Tamaro, ovvero "Va dove ti porta il nulla".

Leggevo oggi sull’edizione on-line del Corriere un’intervista a Susanna Tamaro, un’ammirata scrittrice del panorama italiano.
L’incipit dell’intervista è già un programma: “…..Vivo un’esperienza amorosa con una donna da 18 anni….”. Ma il bello deve ancora arrivare: “Ho avuto due storie importanti nella mia vita…la prima nell’adolescenza, la seconda intorno ai trent’anni: è finita quando ho capito che non ero fatta per la vita di coppia. E poi lui desiderava dei figli, mentre io non ne volevo….L’idea di avere un bambino mi dava un senso di profonda inquietudine. Ero convinta che sarei stata una pessima madre e la gravidanza mi terrorizzava dal punto di vista fisico.
Non sono omosessuale: magari lo fossi, in quel caso la mia vita sarebbe sentimentalmente completa.
Nella vita ci può essere una gran varietà di relazioni, basta non avere limiti mentali e non aver paura di quello che dice la gente….”.
Potrei andare avanti con altre perle di saggezza della nostra autrice, ma vi risparmio…..
Dopo aver letto l’intervista mi è subito balenata l’idea: la Tamaro “ci fa”. Più che un’idea è una speranza, perché se davvero la scrittrice triestina si trova in queste condizioni sarebbe il caso di farsi aiutare da qualcuno piuttosto che scrivere libri.
Il titolo del suo libro più famoso è “Va dove ti porta il cuore”. Ma dove volete che porti il cuore di una persona? Alla felicità!!! Ma la felicità con la F maiuscola!!
Il suo ex-fidanzato aveva espresso il suo desiderio di essere felice diventando papà. Giammai!!!!
E’ troppo difficoltoso, troppo doloroso, troppe responsabilità….
Meglio vivere un bella e onesta amicizia amorosa, senza capo né coda.
E poi la scrittrice ha il coraggio di affermare che non ci devono essere limiti mentali, spero stesse scherzando…..
Il vero limite mentale è rappresentato dal nichilismo tristissimo espresso dalle parole dell’autrice.
Nessuna persona responsabile pensa che la nascita di un figlio non possa generare ANCHE inquietudine, ma al contempo spera che prevalga sempre la felicità per la nascita di un essere umano, membro di una famiglia.
Il problema di oggi è che l’uomo moderno non cerca più nemmeno la felicità, perché questa ricerca costa fatica e sacrifici. Più facile rimanere piuttosto nella mediocrità annientando ogni desiderio di realizzazione nella famiglia….
Ho un’idea: quasi quasi faccio leggere questa intervista ad una di quelle vecchiette che passano per il paese tutte ingobbite con il viso segnato delle fatiche della vita che ha riservato loro levatacce alle tre di mattina per mungere le mucche con successiva sveglia di gruppo degli otto figli sfamati a pane e polenta.

Mi scusi signora Tamaro, ma c’è molto più da imparare da queste nonnine che dalle sue opere letterarie.

26 settembre 2006

La tradizione cristiana ed i cattolici d'oggi

Durante l’incontro di scuola di comunità tenuto mercoledi’ scorso abbiamo discusso e analizzato il tema della tradizione nella vita della Chiesa.In “Perché la Chiesa” Don Giussani scrive: “…..la tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica…..La comunità cristiana, come Chiesa, è una persona che, crescendo, prende coscienza della verità che Dio le ha messo dentro e intorno….L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il progredire di Cristo nella storia, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa…”.Don Giussani giustamente scrive che il cristiano d’oggi è più consapevole e cosciente della verità in quanto ha potuto godere della tradizione cristiana che ha permesso il progredire di Cristo in duemila anni di storia.Purtroppo le situazioni che viviamo quotidianamente, dal dibattito sorto in seguito al discorso del Papa a Ratisbona ad una semplice chiacchierata con un amico al bar, dimostrano che una parte dei cattolici d’oggi sembra non essere consapevole della tradizione cristiana che le è stata donata.Se guardiamo all’attuale situazione politica italiana notiamo come ci siano cattolici pronti a votare contro una mozione di solidarietà a favore del Papa e che invitano lo stesso a farsi difendere dalle proprie guardie svizzere in quanto non ritengono opportuno che l’Italia si impegni per la difesa del Capo della Chiesa.E questo purtroppo è solo l’inizio: fra alcuni mesi abbiamo il timore di assistere ad un film già visto in altri paesi europei (ad esempio la Spagna) in cui i cattolici alzeranno bandiera bianca davanti alle richieste della sinistra in merito a Pacs, pillola abortiva RU 486 e, new entry dell’ultimo minuto, eutanasia.Ma l’attuale quadro politico sopra descritto non è nient’altro che la punta di un iceberg che è destinato a farci affondare negli abissi del nichilismo e del relativismo.Un esempio di vita quotidiana può essere emblematico: venerdi’ scorso, durante una pausa caffè di metà mattinata e durante le consuete chiacchiere tra colleghi, il discorso è finito su un argomento spinoso: i diritti degli omosessuali.Un mio collega, che si dice cattolico, mi dice in tono convincente: “gli omosessuali possono avere tutti i diritti di sposarsi, questa è la libertà!”.E mentre si riempiva la bocca di questa parola “libertà” gli vedevi brillare gli occhi, come se per un momento si fosse sentito un paladino incaricato dal popolo di difendere la libertà del mondo.
Una sola riflessione: visto che il Gius dice che l’insegnamento di Gesù in vita non può essere diverso da quello dei giorni nostri, siamo proprio sicuri che il valore di libertà che Cristo andava predicando duemila anni fa fosse quello che intendeva il mio collega? A voi la risposta.

25 settembre 2006

EUTANASIA o della (buona?) morte

Ebbene ci siamo: dopo tante altre cosucce si è finalmente arrivati a toccare la questione della morte. In che ambito? Non in un dialogo fra due persone al bar, bensì ai vertici dello Stato.
Il tutto è (ri)scaturito dalla lettera disperata di un uomo da anni malato e allettato. Quest’uomo evidentemente senza speranza si è rivolto al Presidente della Repubblica, chiedendo di voler morire, con il (forse ultimo) desiderio che si faccia una legge che consenta di farsi uccidere/uccidersi quando si è in certe condizioni di malattia senza che da un tale gesto scaturiscano conseguenze di sorta (ad esempio, penali).
Mi chiedo: ma perché io, se voglio uccidermi, non agisco e basta? Perché devo pensare che sia lo Stato a potermi/dovermi dare l’ultima parola?
È chiaro, allora, che se io scrivo a Napolitano per dirgli che voglio morire, e nel caso di specie sono vicepresidente della fondazione Luca Coscioni, significa che attraverso ‘quel’ destinatario della mia lettera voglio trasmettere un messaggio al popolo.
Che messaggio?
a. che la vita è mia;
b. che, essendo mia, posso disporne come meglio mi pare;
c. che questo è talmente giusto da dover essere pro(im)posto al popolo con una legge;
Così è successo che il nostro umanissimo Presidente ha fatto propria la questione ed ha, con tempismo perfetto, spronato governo e parlamento a parlare della (buona) morte (in vista di una legge).
In parlamento a parlare della (buona) morte. I nostri governanti (quelli che bisogna-organizzare-la-felicità-degli-italiani) ci dimostreranno fino alla fine (letteralmente) come tengono alla nostra vita.
Ma quanta fretta di far crepare la gente (legalmente).
La mia ragione è proprio cocciuta e si interroga. Si chiede: ma di che stiamo parlando veramente? Quali sono i termini della questione? Qual è la posizione giusta (c’è sempre una posizione giusta)?
Io ho l’allergia per le posizioni mediane; per dirla tutta, la mediocrità mi fa schifo.
Quindi il dilemma è questo: o faccio di tutto per farti vivere o faccio di tutto per farti morire.
Io non sono per l’accanimento terapeutico, ma, perdiana, alimentare una persona non è una terapia (quando mangio la pastasciutta mi sto curando?); che poi l’alimentazione avvenga attraverso una cannetta è un dato meramente formale, ma parlare di accanimento è da bugiardi (nutrire un neonato con il biberon è un accanimento terapeutico?). Chi era Terry Schiavo? Chi sono i giusti che hanno deciso che bisognava smettere di alimentarla? Chi sono questi ipocriti assassini? QUELLI CHE L’HANNO UCCISA PER IL SUO BENE (bugiardi, l’hanno uccisa per il loro borghesissimo e falsissimo star bene, per non averla più tra i piedi, perchè le rogne vanno eliminate).
Bisogna RAGIONARE. Non bere a litrate il sentimentalismo materialista dei giusti dei nostri tempi.
DI CHI E’ LA VITA? È MIA? ME LA SONO DATA IO? Ma se è mia dovrei avere il potere di farmi come più mi piace: bello, ricco, potente, un essere perfetto. Se è mia perché darmi le malattie?
Fatto sta che 'sto potere non ce l’ho. Allora me lo prendo io, come rivincita, come ultima affermazione di me. Come ultimo tentativo di afferrare, di strappare, di possedere, di signoreggiare. Un grido di disperazione. Un latrato bestiale, dove non c’è più alcun significato, dove la vita è ridotta a materia, ad un bene, disponibile, da inserire in un testamento, come l’appartamento al mare o l’automobile. Dove l’ultima parola la dico io.
Ma l’art. 5 del codice civile ad esempio dice……ma l’art. 40 comma 2 del codice penale dice che….ma chi se ne frega! Se una cosa è possibile diventa giusta, persino doverosa, dice il modernismo che ti accoppa per un ‘atto d’amore’ (‘sti malati sono proprio un problema. Eliminiamoli, facendo credere a loro – ed a noi – che è perché vogliamo loro bene, un gran bene).
Insomma gli uomini che si ammazzano tra loro, che si aiutano persino ad ammazzarsi bene (il forno crematoio prima, l’iniezioncina dopo, stacco la spina….che varietà di metodi!).
Ma alla fine di tutto, alla fine dell’enorme, infinito ammasso di equivoci, di errori, di bugie, di falsità, di menzogne, di lupi travestiti da agnelli, di gulag-camere della dolce morte, di buonismi da idioti sentimentali che fanno più vittime delle guerre (sì cari) …e anche sulla malattia più devastante e sulla morte: “..l’ultima parola resta la Misericordia” (Don Giussani).
Io ho speranza, perché sono felice (non può sperare un infelice). E se fossi malata gravemente vorrei essere come un amico, che ha scritto: “La certezza, che da speranza, non è quella di guarire. Ma quella che sulla mia vita, in questo istante, c’è Qualcuno che mi vuole bene”.

24 settembre 2006

"La libertà è si' cara come sa chi per lei vita rifiuta"

Con questa citazione dantesca, l'editoriale pubblicato sul nuovo numero di Tempi ha commentato le parole dell'onorevole Mario Mauro, Vice presidente dell'Europarlamento il quale durante un pranzo con amici ha scritto un telegramma al Santo Padre. Ecco il testo: "Santità, in quest'ora confusa per i potenti della Terra, ma cosi' chiara per l'esperienza dei poveri di spirito, vogliamo ringraziarLa per l'appassionata difesa della RAGIONE e della LIBERTA' di tutti".
Di seguito riportiamo il link al discorso tenuto dal Santo Padre all'Università di Regensburg, che vi invitiamo a leggere per un'esigenza di conoscenza che, sola, consente un giudizio chiaro; con la preghiera di darne la massima diffusione in tutti gli ambiti ed a tutti i livelli.

http://www.clonline.org/articoli/ita/BenXVI120906.htm

20 settembre 2006

Formigoni: "il Papa ha ragione, basterebbe dire questo".

Con queste parole il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, apre l’intervista pubblicata oggi sul quotidiano Libero.

La presa di posizione di Formigoni è lucida e senza compromessi:

“ Il discorso del papa da Regensburg è innanzitutto un inno alla ragione, al senso religioso dell’uomo, a una fede religiosa che sia in accordo con la ragione. E’, infine, una difesa pressochè inattaccabile non solo dell’identità dell’Occidente Cristiano, ma del genere umano.
Perché è tipico dell’uomo usare la ragione. Non capisco come si possa non difendere una posizione del genere…...”.

“…..La politica ha il compito di dare una risposta ferma a quanto sta accadendo: noi non dobbiamo transigere di fronte a questo attacco deliberato al Papa e ai cattolici, dobbiamo dare una risposta ferma e ribadire che Benedetto XVI ha detto una grande verità, peraltro in continuità assoluta, e non potrebbe essere altrimenti, con la dottrina ed il magistero di Wojtyla….”.

“…..Quel che è certo è che il discorso di Benedetto XVI è , secondo me, inconfutabile secondo ragione.
Cioè, per attaccarlo occorre essere irragionevoli. Nell’Islam ci sono elementi estremi che purtroppo finiscono per caratterizzare tutto il mondo musulmano……”.

“…..C’è un compito culturale, educativo, che precede la politica. Che passa dalla consapevolezza di noi stessi, passa dalle scuole, dalle famiglie, dai movimenti culturali… ”.

Abbiamo constatato in questi giorni la quasi totale assenza di prese di posizione simili a quella del governatore lombardo.

Benedetto XVI si è detto rammaricato per quanto accaduto dopo il suo discorso a Regensburg, ma, a nostro avviso, dovremmo essere noi a rammaricarci, se non ad arrabbiarci, per il silenzio “assordante” mostrato da gran parte del mondo politico italiano.

Per volere di Dio, c’è ancora qualcuno, come Formigoni, che utilizza la ragione e si sente libero di esprimere ciò che pensa, o meglio, ciò che anche noi pensiamo.

19 settembre 2006

Noi stiamo col Papa

In relazione agli attacchi a Benedetto XVI da parte di esponenti islamici, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ha diffuso la seguente dichiarazione:

«In merito alle accuse a Benedetto XVI, ci sono tre cose evidenti:
1) il Papa non voleva affatto offendere i credenti islamici, ma richiamare tutti a un uso corretto della ragione;
2) il Papa ha chiara consapevolezza di alcuni aspetti estremi delle vicende dell’islam, che sono verità della storia davanti agli occhi di tutti;
3) c’è un’intolleranza nei confronti della critica pacifica che è intollerabile, sia per quanto riguarda le posizioni preconcette di certi esponenti islamici sia per quanto riguarda l’indifferenza e la superficialità di molti commentatori occidentali.

«Noi stiamo col Papa. Affermando che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”, Benedetto XVI dice una cosa vera che vale per chiunque, a cominciare da noi cristiani.
«Questa posizione del Papa salva la possibilità di un’autentica esperienza religiosa per ogni uomo e permette un incontro nella pace. Non è questione di scontro di civiltà, ma dell’esperienza elementare dei “poveri di spirito” di ogni religione: questi vivono un rapporto ragionevole con Dio, a partire dalle esigenze di verità, bellezza, giustizia e felicità che ci sono nel cuore di ogni uomo, e proprio per questo non possono seguire le degenerazioni violente di coloro che, in nome di un’ideologia, rinunciano alla ragione per un potere, siano essi in Occidente o da qualunque altra parte».