28 febbraio 2012

Anticlericalismo alla Monti


L'unica cosa chiara per ora è l'effetto annuncio. Cioè, la Chiesa pagherà l'Ici o Imu, o quel che sia. Comunque pagherà. A questo punto alcune sparse osservazioni sono necessarie.

1. Il sotterfugio. Per impedire discussioni, che in fondo sono il sale della democrazia, Monti ha taciuto di questa decisione, tenendo segreto il testo. Emendamento infilato all'ultimo istante nel decreto sulle liberalizzazioni. Come dire. Non voglio problemi, meno se ne parla meglio è. Personalmente nutro una profonda stima nei confronti di Monti e non mi aspettavo un giochetto da vecchio giocatore di poker.

2. La vigliaccata. Monti ha detto testualmente che l'Ici fatta pagare alla Chiesa serve a far abbassare le tasse. Come dire: la Chiesa godeva di un privilegio ignobile. Tu pensionato pagavi più tasse per fare un piacere ai preti. Questo tipo di ragionamento di Monti è da falsario. Lo dico con durezza. Non si fa cosi. Non è proprio giusto.

3. Non è ancora chiaro che cosa la Chiesa dovrà versare e per quali edifici. Infatti, si dice che le strutture destinate ad attività commerciali verseranno d'ora in poi l'obolo allo Stato. In realtà anche il bar dell'oratorio, il negozietto dei rosari al santuario commerciano. Gli utili eventuali, irrisori peraltro, finiscono nel calderone di ciò che non è "destinato alla suddivisione di profitti, ma alla carità e all'aiuto sociale". Dovranno pagare l'Imu? Non si capisce. Di certo ci saranno contenziosi spaventosi. Chiuderemo gli oratori?

4. E gli asili? E le scuole? Non si capisce. Vendere magliette o la liquirizia fa sì che si debba pagare qualche migliaia di euro di Imu? Il tutto per far pagare meno tasse? Ridicolo. Demagogia. Anzi molto grave. È il ribaltamento del principio di sussidiarietà. Lo Stato diffida a prescindere da chi vuole fare. Del bene mettendosi insieme con altri. Qualcuno dice: ci sono alberghi lussuosi in mano a enti ecclesiastici. Che paghino, sia chiaro. Ma i convitti legati a parrocchie e a scuole o università?

5. Io resto dell'idea che, specie oggi, togliere denari alla Chiesa sia levare risorse ai poveri. Ovvio: guai a chi abusa, a chi ingrassa fingendo carità e in realtà lucrando sulle opere di bene. I lussi di certi prelati e di loro enti sono intollerabili (e ce ne sono). Ma non si possono punire gli ultimi per i vizi di qualche finto benefattore.

6. Mi colpisce molto, e deve far riflettere, che un documento per tutelare il no profit, che non sono solo le opere della Chiesa, sia stato firmato da personalità di sinistra come il vecchio tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. Occorre tutelare l'iniziativa gratuita di ci si impegna per un ideale. Qualunque sia la tradizione di riferimento. Ora pensare che si possano spremere 600 miloni o addirittura due miliardi di euro dalla Chiesa e dal non profit significa che si intende procedere a una spremitura pazzesca di risorse.

7. Vedremo come sarà in dettaglio il famoso emendamento. Se farà pagare anche un euro di tasse al mio oratorio sotto casa, o alla scuola libera fondata con tanti sacrifici, o al santuario di Caravaggio perché vende le candele votive nel negozietto, come deputato negherò la fiducia a Monti. E, se non mi vedono, gli taglierò le gomme della sua sobria auto blu.

di Renato Farina

27 febbraio 2012

Il mal di neutrini di Odifreddi & C.


Sarà venuto il mal di pancia ai Piergiorgio Odifreddi, alle Margherita Hack, al manipolo scarno, ma pretenzioso assai, di scienziati e nipoti ritardati del positivismo ottocentesco che con la forza supposta della ragione pensano di convincerci a fare a meno del mistero dell’universo, di guarirci dall’incombenza del divino e per l’insieme dell’opera loro sono stati e sono spesso ospiti di Fabio Fazio. A settembre, dopo anni di tentativi, un neutrino di sapore muonico, si dice così, sparato dal Cern di Ginevra era arrivato a 740 chilometri di distanza nel ventre del Gran Sasso sotto forma di neutrino tau impiegandoci 60 nanosecondi in meno di un fotone e viaggiando quindi a una velocità superiore a quella della luce, con buona pace di Einstein e della teoria della relatività. Annuncio con fanfara, tamburi e trombette. Era come se un cane fosse andato a fare una passeggiata e lungo il cammino si fosse trasformato in un gatto, dissero. Chi non ama improvvide mutazioni genetiche ebbe freddo alla schiena. 

Li si aspettava al varco, dunque, i lanciatori di particelle da Ginevra, capitale di una ricerca europea che somiglia sempre più all’Unione medesima, i ricevitori nonché nipoti di Zichichi. E tutti coloro che palpitano ogni volta che qualcuno annuncia al mondo di aver fatto un passettino avanti nel buio pesto dell’infinitamente piccolo dove si nascondono il mistero dell’universo e il senso della vita. Le leggi di Murphy sono ferree: se è verde o si muove è biologia, se puzza è chimica e se non funziona è fisica. Vuoi per un cavo, vuoi per un computer, vuoi per un Gps, anche da una lastra fotografica di centocinquantamila blocchetti di piombo e millecinquecento tonnellate incassata a millequattrocento metri sotto terra può uscire una misura falsa, un’istantanea bugiarda. Più o meno come da un autovelox.

Non che non si debba fare ricerca. Né far avanzare, anche con la forza della disperazione, il confine incerto, esile di quello che conosciamo. Solo che sarebbe meglio mettere da parte le esaltazioni e le guerre di un altro secolo. Tutto sta nel modo di porsi come direbbero gli esperti di comunicazione. Newton si vedeva come un bambino che gioca sulla riva del mare e di tanto in tanto si diverte a scoprire un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del solito. Gli Odifreddi e le Hack si pongono come adulti turiferari di una santa via atea e laicista.

Che male c'è ad ammettere di avere paura. Della scienza che sa di fantascienza e ci dice che se stessimo nel mezzo della nube gassosa che, secondo autorevoli riviste scientifiche, va a una velocità di oltre otto milioni di chilometri l’ora e passerà nel 2013 a quaranta miliardi di chilometri di distanza dal buco nero “Sagittarius A”,che è il più grande della Via Lattea, ha una massa quattro milioni di volte quella del Sole e dista dalla Terra alcune migliaia di anni luce, bene se stessimo là in mezzo saremmo tutti allungati come spaghetti secondo la teoria delle stringhe. E morti. Se non altro di paura. Non so se Einstein ha trovato davvero l’undicesimo comandamento, formulandolo addirittura con suprema eleganza e francamente me ne frego: non placa la mia angoscia, il senso del limite invalicabile, il lento scivolare verso il nulla. Per questo è meglio non sapere. E credere che il sole sia solo un’abitudine qualunque sopra “le nostre cose sorde e distratte”.

di Lanfranco Pace, tratto da "Il Foglio"

26 febbraio 2012

Ici e Chiesa Cattolica: Il cambio e il dubbio

L’emendamento del governo dunque è arrivato, con buona pace di chi, appena ieri, scriveva con acredine e inesattezze ormai stranote e strasegnalate di «fulminea sparizione dell’Ici» sui beni ecclesiastici, perseverando nella distorcente pretesa di raccontare come esenti da imposte in Italia le «attività di natura commerciale» riconducibili a enti non commerciali (cioè non profit) e nella cattiva abitudine di identificare la galassia di questi ultimi (ossia l’intero non profit) con la Chiesa cattolica, che ne è parte assai importante ma non solitaria, visto che in questo ambito ci sono iniziative di diversa ispirazione religiosa e anche laiche. Ma stiamo al punto. L’emendamento ha chiarito tutto ciò che c’era da chiarire? In parte. Rispetto al passato sembra cambiare poco. Per gli immobili a uso commerciale si pagherà domani come si pagava ieri. Chi evadeva l’imposta avrà meno scappatoie. Ma soprattutto un ente non profit, quando svolge in un suo immobile un’attività solo parzialmente commerciale, pagherà l’imposta non per l’intero immobile, ma per la parte adibita ad attività commerciale. Ancora ieri un quotidiano romano ripeteva la colossale fandonia della «cappella votiva» che renderebbe esente l’intero albergo o l’intero ristorante. È falso, ridicolo e l’abbiamo dimostrato, ricevute alla mano, più volte. Il caso, iniquo, più clamoroso è quello dell’Hotel Giusti delle suore di Sant’Anna, a Roma, calunniate su quello stesso giornale, e su un sito satirico, come evasori fiscali, ladre matricolate. L’albergo ha cinque piani; tre sono adibiti a hotel a una stella; gli altri due a comunità delle suore e a cappella. Le suore pagano l’Ici, da sempre e senza sconti, per l’intero edificio, cappella compresa. Presto pagheranno soltanto per i tre piani adibiti ad albergo. Tanti sono nella stessa condizione di superpaganti (nonostante la martellante campagna politico–mediatica che sostiene addirittura il contrario) e, probabilmente, anche per questo il Governo non s’è avventurato in previsioni sul gettito possibile. Difficile dire quale sarà il saldo tra ciò che si sarà recuperato dall’evasione (che non è privilegio di legge, ma – come abbiamo scritto cento volte – violazione di legge) e ciò che, giustamente, non dovrà più essere versato. Comunque sia, un sospiro di sollievo per la galassia del non profit? Fino a un certo punto. L’Europa dovrebbe ritenersi soddisfatta dopo che i radicali avevano portato il caso sino a Bruxelles (spacciandolo in Italia per un’offensiva solo contro la Chiesa, mentre in realtà – basta leggere le carte, e noi lo abbiamo fatto fin dall’inizio – era inevitabilmente mirata contro tutto il non profit, visto che non è mai esistita una disciplina dell’Ici ad ecclesiam, solo per la Chiesa). Tuttavia alcuni, nel mondo del «senza fine di lucro», potrebbero restare ancora con il fiato sospeso. Il caso più evidente è quello delle scuole paritarie, non statali, che svolgono un servizio pubblico. Il caso evidentissimo è quello delle innumerevoli scuole dell’infanzia, che già oggi vivono di stenti (non pochi parroci e non poche associazioni che le tengono in piedi sono allo stremo), pur essendo in molti piccoli centri l’unica realtà a disposizione delle comunità locali (strumento di solidarietà, ed esemplare applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà). Un’imposta in più sarebbe per loro il colpo di grazia. Chi si occuperebbe di quei bambini, chi darebbe risposta abbordabilissima alle attese delle loro famiglie? Più in generale, è il caso degli innumerevoli servizi che il non profit – cattolico e di ogni fede, orientamento, colore... – svolge in Italia a servizio della collettività. Servizi pubblici che comportano forme di «attività commerciale», ossia soldi che entrano ed escono, com’è inevitabile quando si erogano servizi. La solidarietà e la sussidiarietà saranno tassate? Sarebbe un autogol, una forma di autolesionismo tanto smaccata che neppure vogliamo pensarci. Il governo finora si è dimostrato giudizioso e ragionevole. Ha ignorato le grida isteriche, si è scrollato di dosso chi lo tirava per la giacca, non s’è fatto sedurre da alcuna sirena ideologica e ha tirato dritto. Vogliamo pensare che continuerà a fare l’interesse non di questa o quella parte, ma dell’intero Paese. Il non profit, se così sarà, verrà non penalizzato ma sostenuto e agevolato. Com’è giusto che sia. Di Umberto Folena, da Avvenire

24 febbraio 2012

Un popolo di cristiani nati per vivere e l'astio verso la vita che nasce da Cristo

Un popolo di cristiani nati per vivere e l’astio verso la vita che nasce da Cristo

Ecco cosa ci ha sovrastato: la Basilica di San Nazzaro colma di amici degli sposi oggi riuniti in Paradiso. E poi una preghiera dei fedeli, quella «per Comunione e Liberazione». A proposito dell'ultima copertina del settimanale L'Espresso ("La marcia di Cl"), proponiamo l'editoriale che appare sul numero 08/2012 di Tempi in edicola.
24 Feb 2012

Marina è morta in un lampo. Alessandro si era spento pochi anni prima di lei, in dodici mesi di calvario. Alessandro collaborava aTempi. Marina era sua moglie. Lunedì 20 febbraio, durante il suo funerale, due cose ci hanno sovrastato: quella Basilica di San Nazzaro, colma di amici degli sposi oggi riuniti in Paradiso e straripante di figli, amici dei figli e di amici degli amici. E poi una preghiera dei fedeli, quella «per Comunione e Liberazione» (il movimento di don Giussani, cioè l’uomo, come dice don Massimo Camisasca, superiore della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, che «ha salvato dalla morte un’intera generazione di giovani»).

Ecco, questo episodio per dire quale distanza ci può essere da un popolare predicatore di cristianesimo buono per l’aldilà (l’ex ragazzo della via Gluck il cui Dio per malati terminali ha rampognato due giornali e un giornalista) e «i cristiani ci sono per vivere, non per prepararsi alla vita» (parole di Pasternak in Dottor Zivago, citate nell’omelia per Marina da un virile sacerdote), rappresentati in maniera imperfetta ma, come si dice, “plastica”, da tanta di quella gente assiepata in San Nazzaro.

Altrove, in questi giorni in cui è ricorso il settimo anniversario dalla morte del “Giuss” (22 febbraio 2005), altra gente si è affacciata (o si sta dando un bel da fare) per marchiare e sfigurare “i ciellini” con mezzi anche un po’ più duri dei ruspanti cazzotti da anni Settanta. Ma ancora una volta, ieri come oggi, se chiedete a quest’altra gente la ragione del suo astio, se lo chiedete a un marcantonio come Dario Fo o a un boscaiolo con l’accetta giudiziaria conficcata in qualche bel tronco giussaniano, state tranquilli, al fondo di ogni loro argomento non troverete altro che quell’astio lì, ormai più che bimillenario, per la pura e semplice vita nata (nell’aldiqua) da Gesù Cristo.
Twitter: @LuigiAmicone

Il divorzio breve che rende schiavi i nostri figli

Ciò che tradizionalmente si intende definire “società” assume via via la parvenza di un pulviscolo indifferenziato. Le forme relazionali che di consueto si instauravano tra le persone sono, sempre più spesso, sostituite da temporanei e quasi accidentali interscambi tra singoli. Come leggere, altrimenti, l’ennesimo passo del Parlamento italiano nella direzione di favorire sempre di più non tanto la famiglia, quando chi ne ha una e vuole disfarsene? Ieri, infatti, la Commissione Giustizia della Camera ha completato l'esame degli emendamenti sulla proposta di legge relativa al divorzio breve. Tutte le correzioni sono state ritirate, salvo quella del relatore Maurizio Paniz che prevede la riduzione a un anno per il periodo di separazione prima di ottenere il divorzio (ora è di tre) mentre sarà di due anni in caso della presenza di figli minori. Cosa sta succedendo all’Italia (e al mondo)? Lo abbiamo chiesto a Claudio Risé.

Come interpreta la decisione della Commissione?

Mi sembra che la società occidentale si sia incamminata ormai da tempo, almeno dagli anni 70, sulla strada della precarietà dei rapporti tale per cui il rapporto breve viene reputato pratica normale, mentre quello di chi decide di impegnarsi per tutta la vita è valutato eccezionalmente.

E’ una posizione generalizzata?

Basta osservare la crescita dei divorzi che, seppur con delle variabili di Paese in Paese, è comune a tutto l’Occidente. Vi è, del resto, la tendenza prevalente ad agevolare i legami instabili a scapito di quelli duraturi.

La politica, in tal caso, registra una esigenza o la determina?

Le leggi - così come l’induzione provocata dai media - sono scritte anticipando le richieste di separazione e divorzi e, di conseguenza, le hanno provocate. La tendenza prevalente ad agevolare i legami instabili a scapito di quelli duraturi è stata una scelta ben precisa dei legislatori occidentali.

Quali effetti si riversano sulla società?

Abbiamo evidenze abbastanza ampie di disagi che coinvolgono, specialmente, i bambini, ma anche gli adulti. Vi è una variegata documentazione di tipo sociologico, psichiatrico, psicologico e clinico. Benché non vi siano statistiche globali dedicate, in grado di stabilire una correlazione specifica, disponiamo di una serie di studi, specialmente a livello nazionale e, soprattutto, provenienti dagli Usa, che ci consentono di indurre tale relazione tra legami deboli e patologie.

Ci spieghi meglio.

Sappiamo, ad esempio, che i figli cresciuti in famiglie senza padri sono in testa a tutte le classifiche di tutti i disagi psichici possibili. E che al moltiplicarsi dei legami deboli le malattie psichiatriche di ogni genere, dalle nevrosi alle psicosi, sono aumentate.

In sostanza, al di là delle patologie, indebolire i legami ha reso la gente più soddisfatta?

Non possiamo affermare “al di là delle patologie”. Quando esse diventano così diffuse, quando, ad esempio, l’Oms ci comunica che, entro il 2020, un quarto della popolazione mondiale sarà affetta da disturbi di questo genere, la patologia diventa modalità d’essere, non più relegabile alle casistiche cliniche.

Il matrimonio, laico o religioso, ha sempre rappresentano una tra le principali dimensioni di realizzazione di sé nel tempo. Tolta la caratteristica della durata temporale, cosa rimane?

La realizzazione di sé, oggi, è intesa in maniera essenzialmente individualistica; non solo dal punto di vista del matrimonio ma anche da quello degli altri legami sociali. La civiltà occidentale è fortemente de-socialitzzata, tutti i legami prevalenti, quali la famiglia, il quartiere, il gruppo, sono indeboliti. Di conseguenza i soggetti (sempre più individualizzati, cioè soli), tendono a individuare il proprio compimento nel successo economico, nella carriera, o nell’immagine che danno al mondo di sé. La coppia, intesa come modello provvisorio, è indicativa, quindi, di un nuovo modello sociale che è sempre più incline all’atomizzazione degli individui.

(Paolo Nessi) tratto da il Sussidiario.net

23 febbraio 2012

In Danimarca uccidono i feti dei bambini down per eliminare la malattia

*In Danimarca uccidono i feti dei bambini Down per eliminare la malattia. «Evviva l'imperfezione»

Intervista a Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, che davanti al tentativo della Danimarca di eliminare la sindrome di Down uccidendo chi ne è affetto, elogia l'imperfezione. Di Benedetta Frigerio

Tratto da Tempi del 22 febbraio 2012

«Mentono perché non è stata fatta alcuna scoperta per combattere la malattia. La verità è che rimediano uccidendo chi ne è affetto. Ma siamo sicuri di preferire la perfezione alla carità?», si chiede in un'intervista a tempi. it Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, l’osservatorio sulle tecniche riproduttive umane. Quintavalle si riferisce alla notizia del quotidiano danese Berlingske secondo cui entro il 2030 la sindrome di Down (trisomia 21) somparirà in Danimarca grazie alla diagnosi prenatale, che permette di individuare ed eliminare prima della nascita i bambini affetti dalla malattia genetica.

Quale principio è sotteso a questa mentalità?

Pare che l'uomo voglia superare ogni limite. È la notizia stessa data dal giornale danese a dirlo: «Nel 2030 – è il titolo dell'articolo – nascerà l'ultimo bambino Down». Il problema è che eliminare l'imperfezione è impossibile e così si usa un linguaggio fuorviante per far sembrare che la malattia sarà debellata. In realtà non c'è nessuna scoperta medica che elimini la trisomia 21. Semplicemente verranno abortiti tutti i bambini down. La realtà è che per eliminare la malattia si uccide l'uomo. E questo è un controsenso.

Perché è un'illusione pensare di eliminare l'imperfezione?

Ora si eliminano i bambini Down, ma chi può determinare cosa sia l'imperfezione? In Inghilterra, ad esempio, lo fa lo Stato che ora si è spinto anche più in là, ritenendo inaccettabile qualsiasi anomalia fisica: la legge consente l'aborto fino al nono mese se il bambino ha il labbro leporino o se ha un dito in più. Anche il naso storto o le orecchie a sventola sono difetti: se seguiamo la logica perfezionista pure i bambini con queste imperfezioni dovrebbero essere abortiti.

Tutti nascono con dei difetti.

E infatti la prossima vittima, a seconda dei parametri di normalità decisi dagli Stati, potrebbe essere chiunque.

Che spazio c'è in un mondo così per l'amore? Come può finire l'uomo che per raggiungere l'efficienza rinuncia alla carità?

In una società come la nostra, perfezionista e con il mito dell'efficienza, il bisogno è visto come un peso: lo si vede nella vita fragile dei bambini (infatti oggi è forte il fenomeno della denatalità) e degli anziani (l'eutanasia è un rimedio sempre più diffuso). Questo significa scegliere di privarsi dell'affetto e dell'aiuto reciproco, della bontà di un atto gratuito. L'uomo, insomma, vuole essere efficiente per non aver bisogno. Il problema è che in questo modo non è felice, ma solo. E infatti molti chiedono il suicidio quando capiscono che iniziano ad avere bisogno: a quel punto, senza legami d'amore reali, si percepiscono solo come un peso.

Sta dicendo che l'imperfezione ci dà la possibilità di domandare e di accogliere l'affetto di cui si ha bisogno per vivere?

Nel libro sulla vita di Jérôme Lejeune - lo scienziato che ha scoperto la trisomia 21 e che ha utilizzato la diagnosi prenatale per aiutare i bambini con la sindrome di Down a curarsi (non nascose la sofferenza portata per il resto della vita per il fatto che la sua scoperta venne usata contro di loro) - c'è un episodio bellissimo: mentre riceveva un premio, un ragazzo Down gli saltò al collo per ringraziarlo per quanto l'avesse aiutato e si fosse sentito amato da lui. È preferibile una società di uomini imperfetti ma che si sentono voluti o di persone efficienti che non possono chiedere mai e quindi nemmeno ricevere amore?


Il mistero miserabile di Dario Fo

Civiltà )( Barbariedi Roberta Vinerba
Tratto da La Bussola Quotidiana il 22 febbraio 2012

Adesso ha 37 anni, una militanza anticlericale che lo ha portato fino allo “sbattezzo” ci siamo ritrovati: ha cercato la sua “vecchia” educatrice per riaprire un dialogo con la Chiesa.

Alcune colazioni, alcuni pranzi dal “Cinese” e un’intesa fatta di rispetto e di voglia sincera di capirsi. La maturità ha portato con sé i ripensamenti, le domande senza più rabbia, soprattutto la certezza che di un bene e di un male oggettivo c’è bisogno e che l’uomo, a qualunque religione appartenga o non appartenga è capace di comunione davanti alla sofferenza. “Ero affamato, ero assetato, ero carcerato e mi hai soccorso”. Il mio amico si dice convinto che non solo su un ordine morale oggettivo si può e si deve capirsi, ma anche sul piano della carità, quella che soccorre l’uomo quando è incappato nei briganti.

Perché racconto di questo spaccato privato della mia vita e delle relazioni che la costellano? Perché il mio amico mi frulla in testa da ieri, da quando ho letto di come Dario Fo, il premio Nobel per la letteratura nel 1997, (Nobel per la letteratura si noti bene, dato ad un attore: si vede che l’idea di letteratura a Stoccolma è piuttosto relativa), ha di fatto negato ad un gruppo di volontari cattolici di svolgere una raccolta di beneficienza ai margini di un suo spettacolo. Siamo a Varese, Fo mette in scena Mistero buffo e al contempo fa dire ai volontari dell’associazione cattolica “Banco nonsolopane onlus” che non avrebbe fatto nessun annuncio dal palco in favore della raccolta fondi per i meno abbienti (come richiesto, in accordo con il direttore del teatro dai volontari), perché il suo pubblico di sinistra non avrebbe capito la presenza, contigua al suo spettacolo, di un banchetto di volontari ciellini.

La notizia di per sé si commenta da sola. L’uomo in questione, l’artista che è universalmente (sic) riconosciuto come libero e ribelle, geniale, l’inquieto cantore dell’animo umano, si mostra invece ossequiosamente, miseramente obbediente e asservito alle logiche della più crassa e vecchia ideologia. Sì perché a interessare non è l’uomo che ha fame, che ha bisogno di una casa, che deve pagare le bollette, no, si sa: le ideologie hanno sempre avuto problemi con il principio di realtà. Per esse, la realtà è ciò che deve diventare a partire da un’idea geniale di uomo e di umanità che è sempre un a-priori. L’uomo e il suo mondo devono piegarsi ad entrare nelle categorie ideologiche che confezionano il mondo perfetto, chi non ci stà è cacciato fuori dal consesso umano. Le ideologie hanno l’abitudine di disegnare un mondo dove i buoni e i cattivi sono ben distinti e vi è un potere, buono s’intende, incaricato di distinguere e di rieducare, nel caso vi fosse bisogno.

L’ideologia non vede l’uomo, vede l’uomo-che-vorrebbe-fosse. Così Fo ha voluto vedere l’uomo come un essere-di-sinistra rispetto ad uno-di-destra. Quello di sinistra ha i suoi codici e i suoi benefattori che non devono assolutamente interagire con i poveri e i benefattori di destra. Viene da ridere, lo ammetto, se non fosse che di questo pensiero miserabile ne sono ancora intessuti non solo i dinosauri come Fo, ma anche i tanti loro nipotini prigionieri anch’essi di un pensiero ideologico che non ha mai ripudiato quella falce e quel martello che insieme alla svastica hanno massacrato, nel nome del loro uomo, milioni di esseri umani. Veri, quelli, tragicamente di carne ed ossa. Il mio amico che non è cristiano ma che è alla ricerca sincera della verità e senza i paraocchi dell’ideologia, è anni luce avanti rispetto a Fo e a chiunque si lasci accecare da un pensiero allineato e irrealistico. Dimenticavo: il raffinato filantropico pubblico di Dario Fo ha offerto ben 15 euro per i poveracci. Ma si sa, il pane è per il popolino, le arti per gli intellettuali. Così è, se vi pare.

22 febbraio 2012

Don Giussani, chiesta l'apertura della causa di beatificazione


Chiesta l’apertura della causa di beatificazione e canonizzazione
di don Giussani

22 febbraio 2012

Questa sera, 22 febbraio 2012, al termine della Messa celebrata nel Duomo di Milano dal cardinale Angelo Scola, nel XXX anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di CL e nel VII anniversario della morte di don Luigi Giussani, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di CL, renderà noto di avere presentato all’Arcivescovo di Milano la richiesta di apertura della causa di beatificazione e di canonizzazione di don Giussani.

La richiesta è stata inoltrata oggi stesso, 22 febbraio 2012, giorno dell’anniversario e festa della Cattedra di San Pietro, attraverso la postulatrice nominata dal Presidente della Fraternità canonicamente costituitosi Attore di detta Causa: si tratta della professoressaChiara Minelli, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università degli Studi di Brescia.

L’istanza è stata presentata all’Arcivescovo di Milano − nella cui diocesi è nato, è vissuto e ha operato don Giussani, sacerdote diocesano −, a norma della Costituzione Apostolica Divinus Perfectionis Magister, 25.I.1983, delle Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in causis sanctorum del 7.II.1983, nn.11-15, e dell’Instructio Sanctorum Mater, 17.V.2007, Parte II, Titolo I, art. 25 § 1 e 2, affinché l’Arcivescovo voglia disporre l’apertura dell’Inchiesta Informativa Diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità di monsignor Luigi Giussani.

Dando la notizia, don Carrón si augura che «la Madonna − “di speranza fontana vivace” − ci aiuti ogni giorno a diventare degni delle promesse di Cristo e della immensa grazia che nel carisma di don Giussani abbiamo ricevuto e ancora riceviamo».


l’ufficio stampa di CL
Milano, 22 febbraio 2012.

Il mercato nero della maternità

La direttrice generale ha detto sì, la Rai toglierà quella “clausola maternità”, come ormai è squallidamente nota, dai contratti dei giornalisti autonomi del servizio pubblico. Lorenza Lei ha però aggiunto: “Salva la normativa vigente, che non è nella disponibilità della Rai poter cambiare”. Tradotto: la Rai, la più grande azienda editoriale in Italia, non citerà più esplicitamente la maternità (insieme con infortunio e malattia) tra le cause di risoluzione immediata e non onerosa per il datore di lavoro di un contratto; ma il contratto si risolverà ugualmente, i collaboratori atipici continueranno a non avere sopra la testa lo Statuto dei lavoratori, l’Inps continuerà a non sganciare, per le donne in attesa di un figlio ma non assunte, i suoi civili assegni di maternità. E’ per questo che il fattaccio della “clausola maternità”, al netto degli opportunismi politici di qualche dichiarazione – e soprattutto al netto di un certo tasso di insincerità generale, che trasforma la gravidanza, cioè i bambini da aiutare a far nascere, in un grave problema, ma esclusivamente sotto il profilo sindacale – non dovrebbe chiudersi così. Il caso Rai ha soltanto dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, che si può persino arrivare a scrivere su un contratto che la maternità è un problema, tanta è l’assuefazione verso la pratica. La soluzione sta più in alto, cancellare una clausola scritta su un foglio serve a poco, tanto più se la realtà, poi, continua a confermarsi uguale a prima.
Soltanto un intervento del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, può essere determinante. Lo sanno bene le 188 donne che per domani hanno organizzato un giorno di mobilitazione nazionale per il ripristino della legge 188, quella legge che impediva la firma delle dimissioni in bianco. Quella norma è stata abolita dalla stessa maggioranza che c’è ancora oggi in Parlamento, non sarà quindi semplice nemmeno per il ministro Fornero, che pure è donna, madre e d’accordo sul merito, inserire la legge nella riforma del lavoro di cui si discute. Non sarà semplice, ma un segnale forte andrebbe dato, e in fretta. Si potrà aiutare il ministro con la mobilitazione generale, con la voce unita di tutte le parlamentari donne, non importa di quale partito, con un risveglio della coscienza collettiva e non solo femminile, magari. Si potrà aiutare, sì. Ma poi dovrà essere lei a imporsi con determinazione. E’ semplicemente inaccettabile che la maternità sia e resti soltanto un problema, uno svantaggio, una malattia, una minorazione: sia per un datore di lavoro sia per un’azienda sia per uno stato. E’ inaccettabile. Punto. (tratto da "Il Foglio")

Il Papa invita la Sua Chiesa ad un bagno di umiltà

Spenti i riflettori sulle cerimonie, i vecchi e nuovi cardinali tornano alle loro sedi o ai loro uffici curiali. Dal concistoro, e dalla giornata di riflessione che lo ha preceduto, è emerso il protagonismo di una figura come quella del vulcanico arcivescovo di New York, Timothy Dolan, al quale il Papa ha affidato la relazione introduttiva sulla nuova evangelizzazione. Anche se considerata molto «italiana» dai porporati stranieri, la storia dei «veleni» vaticani e della fuga di documenti ha tenuto banco nei capannelli e negli scambi a tu per tu. I cardinali hanno cercato di analizzare ciò che sta accadendo, ma si sono dovuti fermare alle supposizioni: scontro tra vecchia e nuova guardia, lotte in vista della successione del cardinale Tarcisio Bertone, tensioni che hanno sullo sfondo persino il futuro conclave, scontri interni al mondo della finanze vaticane o di un certo sottobosco affaristico italiano dal quale qualche prelato non riesce a prendere le distanze. In molti hanno concluso che si tratta di un malessere comunque legato alla gestione della Segreteria di Stato, auspicando – per lo più sottovoce – segni concreti di cambiamento. Le autorità d’Oltretevere sperano che le polemiche si plachino: soltanto allora, fra qualche mese, sarà possibile che il Pontefice prenda in considerazione la possibilità di sostituire il Segretario di Stato oppure di affiancargli un pro-segretario. Anche se al momento nessuna decisione in questo senso è stata presa. Benedetto XVI, incontrando cardinali in concistoro, è entrato nella vicenda. Ma lo ha fatto a modo suo, senza citare i «vati-leaks», le fughe di documenti, le «talpe» e i registi dell’operazione che ha screditato la Segreteria di Stato. Ha voluto invece proporre ai porporati un’immagine di Chiesa imparagonabile rispetto alle lotte di potere, agli affari, alla ricerca della gloria e al carrierismo. Le sue parole sono risuonate come una sferzata sul collegio cardinalizio. Di fronte alle denunce di episodi di corruzione dell’ex segretario generale del Governatorato Carlo Maria Viganò; ai documenti sulle tensioni interne circa le finanze vaticane; agli appunti sui presunti complotti, e soprattutto al fatto che queste carte siano uscite dagli archivi, il Papa non ha mostrato di considerare tutto questo come un attacco proveniente da nemici esterni contro la cittadella dei «puri». Ai cardinali, sabato mattina, ha detto che «Gesù si presenta come servo, offrendosi quale modello da imitare e da seguire». Ha citato loro l’esempio dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguivano «ancora sogni di gloria accanto a Gesù», chiedendo di sedere alla sua destra e alla sua sinistra. Il messia aveva risposto loro alludendo al calice della sua della passione: «Il servizio a Dio e ai fratelli, il dono di sé: questa è la logica che la fede autentica imprime e sviluppa nel nostro vissuto quotidiano e che non è invece lo stile mondano del potere e della gloria». E domenica ha ricordato i porporati che «la Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la “A” maiuscola - da cui proviene e a cui conduce». Poco più di un anno fa, parlando dello scandalo della pedofilia e delle campagne mediatiche contro il Vaticano, il Papa aveva confidato al giornalista Peter Seewald: «Sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere riconoscenti... I media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei». Con i discorsi di sabato e domenica ai cardinali, Benedetto XVI non ha dunque negato la crisi, lo sbandamento – apparente o reale – della curia e la mancanza spesso di una regia in Segreteria di Stato. Ha cercato di relativizzare tutto questo, richiamando implicitamente cardinali e collaboratori a non ritenersi protagonisti del «governo» o strateghi della comunicazione, magari prendendo a pretesto le attuali, oggettive difficoltà per l’elaborazione di nuovi futuri programmi di pontificato. Li ha invitati a un bagno d’umiltà, dicendo loro che la Chiesa non può liberarsi da se stessa del male che è in lei, ma deve lasciarsi condurre dall’«Altro con la “A” maiuscola». Qualcuno, ascoltandolo, può aver pensato a un discorso teologico. Per Benedetto XVI si tratta invece di un modello concreto per esercitare l’autorità e il governo degli affari ecclesiastici.
(di Michele Brambilla, tratto dalla "Stampa")

21 febbraio 2012

Salire sul tram a Milano e sentirsi dire "Scusi, lei legge ai suoi bimbi le storie dei pinguini gay?

Ore 14,30 di giovedì 9 febbraio. Accendete la radio e vi sintonizzate su una storica emittente della sinistra italiana, Radio Popolare. Apprendete in diretta quanto è fantasiosa la strategia del marketing pubblicitario dell’agenda GLBT (Gaylesbobisexualtrasgender).
A Milano, due giovani attrici, ingaggiate da Radio Pop per fare rispettivamente la parte della mamma “diversa” e dell’educatrice “progressista”, salgono sul tramvai 12 e stimolano i passeggeri a reagire rispetto a un certo prodotto. Si tratta di un libro illustrato per bambini, dedicato, appunto, ai figli delle coppie gay e di cui si propone l’introduzione nelle scuole. “Cosa ne pensa signora e signore? Non crede che libri così dovrebbero finalmente essere in dotazione alle maestre? Non pensa che i bambini debbano essere istruiti fin da piccoli alla diversità di famiglie? Cosa ne pensa di questi due pinguini-papà?”.

Naturalmente, come potrebbe accadere per qualsiasi prodotto di largo consumo – profumi, reggiseni, giarrettiere, sigarette eccetera – ogni passeggero del tram 12 dice la sua. E, naturalmente, circola nell’aria qualcosa di allegramente conformista. Col mainstream si è sempre un po’ in difficoltà a dire la propria, il martello del circuito mediatico è quello, i gusti sono gusti, c’è libertà e via pedalare. Perciò si avverte anche via radio questo strano imbarazzo dei più, pudore, timore a dire parole sbagliate, ansia di rispondere con parole giuste, tipo: “che male c’è?”, “i tempi cambiano”, “è il progresso”.
Eppure stiamo parlando di un prodotto – libri illustrati per i più piccoli - di cui si propone il lancio in un mercato molto particolare (la scuola, i bambini). E lo si propone - nel caso con una finta mamma e una finta maestra - come se fossero cosmetici o reggiseni. Non fanno forse la stessa simpatia i testimoni di Geova che ti fermano all’angolo della strada o ti suonano al citofono per proporti la verità rivelata nei loro opuscoli?

Così, molto similmente agli apostoli di un Geova, queste attrici sul tram recitano l’apostolato della religione rivelata che viene giù dal Nord America e che è sbarcata nelle Commissioni Onu e Ue. E che adesso, di passaggio su un tram, è lì a fare i suoi proseliti, la sua bella opera di promozione, senza dover star lì rispiegare presupposti (tipo che non esiste natura, non esiste verità, non esiste realtà) e l’ovvietà che se sei democratico e non sei un “omofobo” (invenzione lessicale per impedire che tu possa esprimere un pensiero diverso dal mainstream) non puoi non ammettere che la scuola deve aprirsi alla novità.

“Ma i bambini non hanno problemi del genere”, bisbiglia una passeggera del 12. E allora? “Non crede signora che sarebbe bene che i bambini venissero preparati fin da piccoli?”. Suppergiù è la stessa cosa che disse qualche giorno fa la ministra Fornero, sebbene sia una cosa che non c’entri niente con l’articolo 18. Vabbè. Bisogna incominciare a martellarglieli in testa anche ai bambini certe cose. O volete lasciar filtrare in pubblico il pensiero che non è vero che magari i bambini crescono meglio con due papà o con due mamme, piuttosto che con quei vecchi arnesi di uomo e donna?
Benissimo, se questo è il mainstream progressista e colto, e a forte processo top-down, cioè dalle élite verso il basso, da Goldman Sachs (il cui AD ha appena fatto il suo atto di sottomissione e devozione all’agenda gay) a Radio Popolare, uno si chiede: e il compagno Pier Paolo Pasolini dov’è finito? Dov’è finito l’esame critico dell’omologazione, la libertà di pensiero, la critica ai rapporti di produzione e di riproduzione, quando l’agenda diventa urgenza di promozione ideologica e consumistica?

Già, una volta si andava al Cinema Mexico a rivedere per la trentesima volta un musical rock trasgressivo fatto di travestimenti e di ironia gay. Adesso si va sul tram e, come una setta avventista qualsiasi o commesse dell’Oreal, si vendono e si comprano prodotti di largo consumo capitalista che producono gli impiegati alla Glbt. Con i migliori auguri, di ovuli surgelati, di embrioni brevettati e di bambini pionieri, delle multinazionali.
Twitter: @LuigiAmicone

La lezione di Tangentopoli

Antonio Di Pietro

La lezione di Tangentopoli

di Riccardo Cascioli
21-02-2012
, dalla Bussola Quotidiana

Certo, basterebbe guardare il politico Antonio Di Pietro per capire a cosa è servita Tangentopoli. E basterebbe riprendersi in mano le cifre fornite la scorsa settimana dalla Corte dei Conti (corruzione in Italia stimata a 60 miliardi di euro, il 50% dell’intera Unione Europea) per capire a cosa non è servita. Perché a venti anni esatti di distanza la corruzione è ancora tutti lì, anzi la situazione è peggiorata. In compenso quelle inchieste hanno aperto la porta del successo a magistrati, avvocati, politici e giornalisti che a diverso titolo hanno beneficiato di Tangentopoli.

Proprio le cifre allarmanti diffuse dalla Corte dei Conti ci rendono inevitabile una riflessione, ma a partire dall’esperienza della gente comune, quella che venti anni fa osannava i giudici di Milano, tirava monetine a Bettino Craxi, ed esultava per ogni politico ammanettato. Quella gente comune che credeva – gli era stato fatto credere – che bastassero un po’ di processi e soggiorni nelle patrie galere per ripristinare la legalità.

Vent’anni dopo veniamo invece a sapere che la corruzione è addirittura peggiorata. A essere proprio sinceri non era necessaria la Corte dei Conti: basterebbe vedere i tempi biblici necessari per terminare una qualsiasi opera pubblica, o mettere a confronto l’altissimo livello raggiunto dalle tasse con l’infimo livello dei servizi erogati per capire che la corruzione è un fenomeno del presente e non del passato.

Per Di Pietro dipende dal fatto che nel frattempo sono state approvate leggi per facilitare i corrotti ed è così diventato più difficile beccarli. Ma non è questo il punto. Il problema è che davanti a un male evidente e ingiustificabile, per combatterlo si è posta la speranza in qualcosa di inadeguato. Abbiamo vissuto l’ossessione dei ladri, ha giustamente detto Giuliano Ferrara su Il Foglio del 20 febbraio. Il ladro come capro espiatorio, il colpevole che permette di allontanare da noi ogni responsabilità; e il giudice come soluzione, il giustiziere che rimette le cose a posto senza che a noi sia chiesto di implicarci con la realtà. E basta vedere come ancora oggi si applaude ai blitz della Finanza nelle località più note e frequentate dai vip per capire che non è cambiato nulla. E’ il solito scarico di responsabilità che punta sempre al di fuori di noi per individuare il colpevole, anche delle nostre debolezze.

E’ per questo che il problema della corruzione non è mai stato affrontato adeguatamente e il nostro paese sprofonda. La corruzione economica è figlia della corruzione morale, e riguarda tutta la società, riguarda ognuno di noi. E non sarà certo un progetto di educazione alla legalità che potrà cambiare il corso degli eventi. Ce lo ricorda provvidenzialmente il tempo di Quaresima che inizia domani: soltanto il cambiamento del nostro cuore è una risposta adeguata alla domanda di giustizia che ci portiamo dentro.

20 febbraio 2012

Nel 2011 a Carpenedolo i matrimoni civili "pareggiano" quelli religiosi

Nel corso della messa delle ore 11 di domenica scorsa il parroco di Carpenedolo, don Franco Tortelli, ha comunicato che nel 2011 i matrimoni religiosi sono diminuiti rispetto all'anno precedente e i matrimoni civili celebrati nello stesso anno hanno raggiunto lo stesso numero di quelli religiosi. Il nostro parroco ha stigmatizzato il dato, esprimendo forte preoccupazione per il trend dei matrimoni religiosi in continuo calo. Vi proponiamo il messaggio che il Papa ha rivolto ai partecipanti ad un congresso sulla famiglia dal titolo "Amore e Vita" tenutosi in Svezia.

Il matrimonio è uno strumento di salvezza non solo per gli sposati, ma per tutta la società. Solo l'amore di Dio può soddisfare pienamente i nostri bisogni più profondi, e tuttavia, attraverso l'amore tra marito e moglie, l'amore tra genitori e figli, l'amore tra fratelli, ci viene offerto un assaggio dell'amore sconfinato che ci attende nella vita che verrà. Come ogni obiettivo che vale davvero la pena perseguire esso comporta esigenze, ci sfida, ci chiede di essere pronti a sacrificare i nostri interessi per il bene dell'altro. Ci chiede di esercitare la tolleranza e di offrire il perdono. Ci invita a nutrire e a proteggere il dono della vita nuova. Coloro tra noi che sono abbastanza fortunati di nascere in una famiglia stabile scoprono in essa la prima e più importante scuola per una vita virtuosa e le qualità per essere buoni cittadini. Incoraggio tutti voi nei vostri sforzi per promuovere l'adeguata comprensione e l'apprezzamento del bene inestimabile che il matrimonio e la vita familiare offrono alla società umana.

19 febbraio 2012

Non prevalebunt

Non praevalebunt

Non praevalebunt

di Riccardo Cascioli
17-02-2012
, dalla Bussola Quotidiana

«Della Chiesa di Roma si parla in tutto il mondo, speriamo che si parli anche della nostra fede… cioè che si parli non di tante cose ma della fede della Chiesa di Roma». A guardare i giornali di questo periodo, sembrerebbe che questo auspicio del Papa, rivolto ai seminaristi di Roma il 15 febbraio, sia ben lontano dal tramutarsi in realtà.

Dopo che per mesi si è battuto sullo scandalo pedofilia, si è passati alla questione economica, sia con gli attacchi su esenzione Ici e Otto per mille, sia con la divulgazione sui giornali di lettere private in cui si mettono in evidenza corruzione e clientelismo nella gestione economica del Governatorato della Santa Sede. Sulla scia di queste ultime lettere poi, si moltiplicano le voci di faide interne al Vaticano per la scalata a posti di potere, che hanno raggiunto il culmine con la notizia di un complotto per sostituire Benedetto XVI.

L’Espresso oggi in edicola, ad esempio, pubblica un’inchiesta che proprio alla vigilia del Concistoro del 18 febbraio fa un po’ la sintesi (non si sa quanto attendibile) di queste manovre di potere. A dare altro carburante ci ha pensato poi il presidente del Consiglio Mario Monti che, intervenendo questa settimana al Parlamento Europeo ha annunciato la modifica alle esenzioni dall’Ici degli enti no profit: non tanto per la decisione in sé, pure discutibile, ma per il fatto che davanti a una lettura da parte dei media che ha ristretto ai beni della Chiesa l’intervento del governo, da Palazzo Chigi non è venuta alcuna precisazione, avallando così una interpretazione volutamente ideologica.

Sembrerebbe insomma che della Chiesa di Roma in realtà si parli di tutto meno che di fede e certamente, come ha riconosciuto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, ci sono responsabilità anche all’interno delle Mura vaticane, visto che i documenti riservati non arrivano nelle redazioni dei giornali camminando sulle proprie gambe.

Proprio questo è forse l’aspetto più preoccupante, e cioè l’attacco dall’interno. Che i nemici della Chiesa scatenino la loro violenza in fondo è quasi scontato, che siano anche i princìpi della Chiesa a farlo lascia sconcertati. Così come è fonte di disorientamento il fatto che ci siano in diverse parti d’Europa larghe porzioni di sacerdoti e vescovi che si ribellano apertamente al Papa.

Eppure anche questa non è una novità. Come ricorda padre Livio Fanzaga nel libro Il ritorno di Cristo(Piemme 2012) è già San Giovanni a descrivere questa situazione: “Figlioli, questa è l’ultima ora. Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri” (1 Gv 2, 18-19). Ma, dice padre Livio citando anche Sant’Agostino, “per quanto il Demonio possa scompaginare la Chiesa e attaccarla anche all’interno, non riuscirà mai a indurla all’errore, perché ci sarà sempre un piccolo gregge che conserverà intatta la fede, all’insegna del non praevalebunt promesso da Gesù. (…) La Chiesa resiste dunque salda e passerà attraverso il tempo della prova, guidata dalla fede indefettibile del Pontefice, senza soluzione di continuità nella successione apostolica, protetta dalla Madonna (…) e ispirata dallo Spirito Santo”.

In questi tempi di attacchi esterni e di grave confusione all’interno della Chiesa, dunque, è la certezza della vittoria di Cristo che deve animarci, che non è una speranza astratta ma fondata sulla realtà e dimostrata dalla storia. Come scrisse G.K. Chesterton nel 1935, riferendosi al cristianesimo: “Nei tempi in cui Huxley, Herbert, Spencer e gli agnostici vittoriani strombazzavano sulla famosa idea di Darwin quasi fosse una verità definitiva, sembrò a migliaia di persone semplici, praticamente impossibile che la religione potesse sopravvivere. Ironia della sorte fu che è sopravvissuta non solo a tutti costoro, ma che è la dimostrazione ideale (forse l’unica dimostrazione concreta) di ciò che chiamavano la sopravvivenza del più forte”. Che i giornali lo dicano o no. Che vescovi e preti ci credano o meno.

17 febbraio 2012

Abusi sessuali, archiviata l'accusa al Papa. Perché nessuno lo dice?

La fine del caso non è apparsa sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Come invece accadde quando la causa si aprì nel marzo 2010. Fu il New York Times a dare la notizia della causa intentata da Jeff Anderson, l'avvocato di molte vittime di abusi sessuali, contro la Santa Sede. L'avvocato aveva cercato di far ricadere la responsabilità direttamente sul Papa e i suoi collaboratori, in modo da «costringere il Vaticano – aveva ammesso – a risarcire le vittime». La questione primaria era dunque economica. E non importa se il Papa e i suoi collaboratori non potevano sapere nulla di quanto accadeva nelle diocesi prima del 2001. Fu solo da quell'anno in poi, infatti, che in casi di questo tipo la responsabilità passò dalle diocesi alla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall'allora cardinale Joseph Ratzinger.

I casi utilizzati da Anderson riguardano invece padre Lawrence Murphy, che in Wisconsin, dagli anni '50 al 1974, aveva abusato di molti ragazzi di una scuola per sordomuti. La Santa Sede allora non poteva sapere. Perciò venerdì Anderson ha dovuto depositare una notifica di archiviazione relativa all'azione legale.
L'accusa al Vaticano è così caduta nel nulla. Ma il nome di Anderson non è destinato a scomparire insieme alla sconfitta. L'avvocato, a caccia di vittime di abusi, ha già aperto altre cause. Una fu intrapresa solo il mese successivo a quella del caso Murphy. Nell'aprile 2010 Anderson accusò ancora Benedetto XVI, sulla base di una corrispondenza tenuta con l'allora vescovo di Oakland, Stephen Cummins, di tergiversare e occultare le notizie «per il bene universale della Chiesa». Anche allora il circolo mediatico non parlò che di questo per due settimane. Il silenzio cadde solo venti giorni dopo, quando la diocesi di Oakland pubblicò tutte le lettere fra Ratzinger e Cummins.

Un sacerdote, accusato dal vescovo di molestie, venne allontanato dai bambini, messo in cura psichiatrica e consegnato alle autorità giudiziarie. Cummins, però, non poteva concedere direttamente al prete la dispensa dal sacerdozio. Scrisse quindi a Ratzinger per chiederla. L'allora cardinale rispose innanzitutto raccomandando «la massima cura paterna per le vittime e per i bambini», che il prete «non avrebbe mai più dovuto avvicinare». Ovviamente i media mondiali non riportarono nessuna di queste parti della missiva. Ratzinger, però, non poteva dare la dispensa al sacerdote, semplicemente perché di diritto si poteva concedere solo a 40 anni e prima si consigliava ai preti che la chiedevano di percorrere una via di discernimento per riscoprire la propria vocazione e se necessario curarsi. Per questo, anche se il sacerdote accusato doveva essere allontanato, «per il bene della Chiesa universale – scrisse Ratzinger – bisogna tenere conto del danno che la dispensa può provocare nella comunità dei credenti in Cristo, in particolare vista la giovane età del sacerdote». Così fu. E l'uomo allontanato ottenne poi la dispensa una volta compiuti i 40 anni. Si risposò e, seppur consegnato alle autorità giudiziarie e finito in prigione, si macchiò di nuovi reati.
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Il caso di Oakland dimostra che la Chiesa, cercando di lavorare sulla persona del sacerdote, è molto attenta anche a far sì che gli abusi non si ripetano. E cerca di difendere le vittime. Molto più di quanto non riesca a fare la giustizia da sola. O gli avvocati come Anderson, a caccia di vittime per scopi economici più che umanitari: «È triste – ha detto ieri l'avvocato della Santa Sede Jeffrey Lena – come nelle mani di un avvocato troppo incline alle conferenze stampa e un altro che trascorre il proprio tempo a fare la giornalista su internet, con una rubrica faziosa in cui fa passare sé e i suoi colleghi per eroi, la vera tragica situazione delle vittime sia diventata strumento di lucro e di pubblico inganno».
Di Benedetta Frigerio, tratto da Tempi.it

16 febbraio 2012

Celentano e il paradiso quaggiù


A PROPOSITO DI SANREMO E CELENTANO... Oggi lo sport nazionale è dare addosso a Celentano. Obiettivamente non mancano le ragioni: una platea pazzesca regalata a un discorso costosissimo e insensatissimo. Attacchi gratuiti a l'Avvenire, esaltazioni immotivate, insulto personale ad Aldo Grasso, ostentazione di onnipotenza, paurose voragini logiche. I comprimari dell’esibizione sono stati ancor più tragicomici, con la macchietta di Morandi costretto a sparare sulla Corte Costituzionale per la storia del referendum, con parole talmente superficiali e ignoranti che ci si domanda perché non tornare ai bei tempi della censura radiotelevisiva preventiva.
Viene voglia di non prendere sul serio la prima serata di Sanremo, ma c’è qualcosa di molto importante nel “discorso” di Celentano, qualcosa che colpisce e ferisce e non può essere allegramente trascurato. “Ma che vita è questa qua? Lo spread, l’economia, le guerre… E che la vita è uno scherzo basta guardare cosa succede nel mondo… Ma questa di vita è soltanto la prima, una fermata…”. È la sua concezione della vita a provocare dolore, quel suo dire uè ragazzi, gente, mondo, guardate che la vita fa schifo! Nella testa di Celentano, forse anche nella sua esperienza esistenziale, non c’è un bene reale, concreto, odierno. Una convinzione forte e penetrante, altro che deliri e vaneggiamenti, perché il pensiero che la vita possa essere soltanto un miserabile scherzo non è estraneo ad alcun essere umano. Essa dà il nome, e che nome, a quell’oscuro malessere che sorveglia in agguato le nostre esistenze. Il malessere per il quale “per poco il cor non si spaura”.
Ma Celentano è cristiano e dunque deve mettere Dio da qualche parte: e dove, se su questa terra c’è l’Inferno? In Paradiso. Lasciate perdere le visioni adolescenziali di Adriano circa un posto dove saremo giovani e belli, bianchi e neri saranno uguali e musulmani e cristiani balleranno insieme il “tango della felicità”; la faccenda terribilmente tosta è che per lui (e per quanti?) il Paradiso è solo un domani che non ha alcun rapporto con l’Inferno presente. Al massimo ne sarà un risarcimento.
Ma se un uomo ha come interesse l’oggi, se vuole sapere della vita adesso, se è spasmodicamente proteso ad afferrare il senso qui e ora, beh, forget about it, come dicono gli americani di fronte agli enigmi irrisolvibili, dimenticatelo.
Qui (e non là) è solo pianto e stridore di denti, guerre e violenze. Celentano ha detto anche belle cose sulla morte e resurrezione di Gesù, ma senza che ciò possa far varcare l’abisso tra presente e futuro, tra l’infelicità reale e la felicità promessa. Dopo la resurrezione Cristo se ne è andato nei cieli, la terra non è più la sua casa. Beninteso Egli ci aspetta lassù, sorridente e amorevole, ma intanto noi abitiamo qui, da soli e da disperati. (e in più ci tocca pure ‘sto Sanremo!)


(di Roberto Fontolan, tratto dal sussidiario.net)

15 febbraio 2012

Celentano fa il tribuno e perde la testa

Nessuno avrebbe mai pensato di bombardare il teatro Ariston, durante Sanremo. Soprattutto di discorsi biliosi. Celentano, invece ha pensato di travolgere Sanremo in un delirio di onnipotenza: e chi se ne importa dei colleghi artisti, della gara (che all’inizio si è pure inceppata) di Morandi, Papaleo e di tutto il Festival.

Nel bel mezzo della gara, suonano le sirene, Morandi scappa dal palco, l’Ariston si trasforma in un campo di battagli tra colpi di mitra, bombardamenti aerei, feriti, gente che fugge dal teatro. Poi appare lui, rosso in viso, in trench e cravatta a righe. E lascia basiti. Comincia a fare la predica ai preti perché «morire se la predica si capisse perché non sanno regolare l’audio negli altoparlanti. Sembra quasi che i preti dicano: noi la predica l’abbiamo fatta poi chi se ne frega se gli ultimi in fondo non sentono. Il Vangelo è stato chiaro, beati gli ultimi, perché saranno nel regno dei cieli». Poi sostiene di non sopportare neanche i frati «perché nei loro argomenti e dibattiti tv, non parlano mai della cosa più importante: il motivo per cui siamo nati. Insomma, non parlano mai del Paradiso. Danno l’impressione che l’uomo sia nato solo per morire».

Poi, ecco la sua vendetta contro chi ha «osato» fare delle pacate e civilissime critiche sulla sua decisione di dare il suo cachet in beneficenza. Celentano non perdona. E attacca a testa bassa: «Giornali inutili come Avvenire e Famiglia Cristiana andrebbero chiusi definitivamente perché si occupano di politica e di beghe del mondo anziché di cose confortanti che Dio ci ha promesso». E viene il serio dubbio che Celentano non li abbia mai letti davvero. Ma lui non vede e non sente. Vuole vendicarsi e lo fa (tanto la Rai gli ha dato carta bianca): «Avvenire e Famiglia Cristiana sono testate ipocrite come le critiche che fanno a uno come don Gallo che ha dedicato la sua vita per aiutare gli ultimi». Ora che si è sfogato, Celentano, fra una cantatina blues, e una vecchia hit, si incarta tristemente in discorsi sull’alta velocità, sul referendum bocciato dalla consulta e in una penosa gag su destra e sinistra con Pupo e il povero Morandi. Poi si lancia in una filippica a favore del martirio di Gesù e intona, come avevamo previsto, Il forestiero, basato sul Vangelo della Samaritana. Mentre ancora sta parlando su Facebook, Twitter e sui blog monta la protesta. E fiocca la solidarietà per i giornali cattolici per i quali Celentano ha chiesto la chiusura.

«Per fortuna i giornali non dipendono da Sanremo e ancor meno da Celentano le cui battute senza senso fanno ridere chi può godersi Sanremo ma non cambiano un paese che ha bisogno oggi più di ieri di giornali di idee e di identità come Avvenire e Famiglia Cristiana ma anche di tanti altri che sono l’opposto e il contrario». Lo dice il segretario della Fnsi Franco Siddi, commentando le parole di Celentano a Sanremo. «Questa volta neanche per paradossi si riesce a dare un senso a quello che un grande artista come Celentano dopo tanta attesa dice. Ha perso il senso che in altri tempi sapeva invece recuperare. Per fortuna le bussole sono altre», conclude Siddi.

Immediata solidarietà anche dal Movimento Liberi Giornalisti, componente rappresentata sia al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, sia nella FNSI (il sindacato unico dei giornalisti).

Angela Calvini, tratto da "Avvenire"

Se l’è presa con i preti e con i frati (tutti tranne uno) «che non parlano del Paradiso». E se l’è presa con Avvenire e Famiglia Cristiana «che vanno chiusi». Tutto questo, perché abbiamo scritto che con quel che costa lui alla Rai per una serata si potevano non chiudere le sedi giornalistiche Rai nel Sud del mondo (in Africa, in Asia, in Sud America) e farle funzionare per un anno intero. Dunque, andiamo chiusi anche noi. Buona idea: così a tutti questi poveracci, tramite il Comune competente, potrà elargire le sue prossime briciole di cachet. Davvero un bello spettacolo. Bravo. Viva Sanremo e viva la Rai.
P.S. Naturalmente, caro Celentano, continueremo a parlare e far parlare di Dio, degli uomini e delle donne di questo mondo. Soprattutto di quelli che in tv non ci vanno mai, neanche gratis
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Di Marco Tarquinio, direttore di "Avvenire"

14 febbraio 2012

In memoria di Eluana

Di mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino, Montefeltro

Lo scorrere inesauribile del tempo costringe a fare memoria e in qualche modo a rivivere un avvenimento tragico per l’intera nostra società. La violenza organizzata e articolata dell’ideologia del benessere individualistico, del possesso incondizionato e della manipolazione tecnologica di persone e cose, il 9 febbraio di tre anni fa ha eliminato la presenza scomoda di Eluana Englaro. Si è voluto affermare in maniera violenta che la vita umana non è più un dono indisponibile a qualsiasi istanza umana - famiglia, strutture politiche e sociali, giuridiche -, ma al contrario che la vita umana è un oggetto su cui istanze diverse, e talora alleate, possono e debbono esercitare il loro potere. Così Eluana è stata sacrificata, perché un’alleanza vasta, articolata e pervasiva ha deciso che la sua non era più vita, senza nessuna conferma scientifica e senza nessuna utilità di carattere sociale. Doveva essere eliminata perché con il suo dolore e il suo silenzio, la sua esperienza di vita ricordava a tutti esattamente il contrario di quello che molti volevano affermare: che la vita appartiene al Mistero di Dio, da cui la riceviamo. E che quindi in nessun momento della nostra esistenza è possibile che qualcuno decida di sopprimere la vita in sé, neanche colui che ne è soggetto. La Chiesa, nella dedizione gratuita, lieta, limpida delle suore Misericordine di Lecco, aveva già aperto le sue braccia e il suo cuore ad Eluana. Esse l’avevano custodita per anni come il bene più prezioso, perché Eluana era viva e perché ogni persona che vive – ed Eluana era viva – è il bene più prezioso sulla Terra, perché è il segno di Dio. Contro questo rispetto e questa passione per la vita si è deciso di scardinare tutto, perché fosse affermata la signoria dell’uomo e delle sue misure sulla realtà. E fosse aggirato qualsiasi anche timido riferimento al mistero dell’esistenza. Così cattiva politica, cattiva scienza, istituzioni che debordavano dalle loro funzioni, hanno compiuto il delitto abominevole. Addirittura l’ideologia ha costruito una singolare inversione dei termini: chi imponeva in qualche modo l’eutanasia era il difensore della libertà, della libertà di vivere e di morire, era propugnatore di quella morte dolce che veniva non solo equiparata alla vita, ma diventava superiore alla vita. E coloro che difendevano in nome dei principi della ragione – prima ancora che della fede – l’assoluto valore dell’esistenza umana, venivano tacciati naturalmente di fondamentalismo, di imperialismo e quant’altro.Così Eluana è stata condotta al macello come la pecora di biblico ricordo. E così - credo ben al di là della sua consapevolezza e della sua stessa capacità di dedizione – è stata associata al mistero di Cristo che muore e risorge; e noi cristiani non possiamo che pensarla e ricordarla così. Questo gesto contro Eluana, cioè contro la vita, è stato più volte presentato come un passaggio fondamentale per il progresso della nostra società, per l’incremento della vita umana e sociale. Certo, dopo 3 anni vediamo tutti i giorni come la vita in Italia sia maturata in senso positivo: padri che ammazzano i figli e figli che ammazzano i padri; uomini e donne che risolvono il contenzioso della loro tormentata vicenda coniugale, o non, ammazzando e suicidandosi; la violenza irresistibile per le strade dove si ammazza nella migliore delle ipotesi per qualche migliaio di euro. Certamente la società italiana è stata maturata profondamente da questi orrendi gesti che si pensa abbiano un valore positivo. La barbarie sembra incontenibile. Che non abbia alla fine ragione Benedetto XVI quando dice che “l’apostasia dell’uomo moderno da Gesù Cristo finisce per diventare l’apostasia dell’uomo da se stesso”? Anche su queste parole del Santo Padre, in questo triste - ma lieto per noi cristiani - anniversario, conviene riflettere.

La strumentalizzazione della "giornata della memoria"

La “giornata della memoria”, purtroppo, si è rivelata anche quest’anno oggetto di enormi strumentalizzazioni. Lo ho potuto sperimentare perché alcuni miei alunni sono partiti con il “treno della memoria”, promosso dall’associazione piemontese “Terra del Fuoco”, per visitare Cracovia e i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Quattrocentocinquanta ragazzi trentini, più altre migliaia da tutta Italia, per un viaggio di approfondimento storico che, se fatto in un certo modo, avrebbe anche il suo significato. Migliaia di ragazzi portati a visitare luoghi terribili, in cui l’umanità ha dato la peggior prova di sé. Ottima idea, ma il Grillo parlante chiederebbe: a spese di chi? E per quale fine? Purtroppo sono domande che occorre porsi, perché solo gli ingenui ignorano la celebre frase di Orwell: “Chi controlla il passato, controlla il presente”. Poiché persino i cani, difficilmente, scondinzolano gratis, la domanda è questa: chi mette i soldi, cerca forse anche un qualche ritorno? Il sospetto è, purtroppo, inevitabile: sul treno in partenza da Trento vi erano, oltre a rappresentanti della associazione organizzatrice, piuttosto orientata a sinistra, un politico in carica, di provenienza Cgil, un’altra politica, di provenienza Rifondazione comunista, membri dell’Anpi, solitamente piuttosto nostalgici del fulgido colore rosso… Date le premesse è lecito chiedersi: è giusto che dei politici divengano accompagnatori di giovani alla scoperta della verità storica? Sono i più competenti a farlo? Sono disinteressati? Difficile crederlo. Anche perché ciò in cui sono ancora maestri, comunisti ed ex comunisti riuniti sotto nuove sigle, è la propaganda con cui sono riusciti, sino a ieri, a spacciare l’Urss e l’est Europa come il “paradiso dei lavoratori”, mentre oggi sono capaci di parlare di dittatura cinese, birmana, bielorussa eccetera, senza mai neppure pronunciare l’aggettivo “comunista”. A che fine sono stati portati, dunque, con i soldi pubblici, migliaia di giovani in Polonia? Ho detto ai miei ragazzi: “Sarebbe stato certamente un viaggio utile, se vi avessero spiegato davvero cosa è stato il nazionalsocialismo. Cioè un miscuglio micidiale di tutte le moderne dottrine anticristiane: hegelismo, materialismo ateo, darwinismo sociale, razzismo ‘scientifico’, positivismo, riduzionismo biologico… Se vi avessero parlato dell’eugenetica e del programma eutanasico hitleriano, e avessero sottolineato quanto siamo debitori al nazismo, noi, oggi, quando selezioniamo i feti malati, alla ricerca del figlio perfetto, e quando facciamo i protettori del panda, innalzando gli animali al livello degli uomini e abbassando nel contempo gli uomini al livello degli animali. Sarebbe stato un viaggio utile, se gli accompagnatori vi avessero ricordato che poco più in là di Cracovia ci fu, accanto e insieme all’occupazione nazista, quella comunista; se vi avessero accennato ai terribili misfatti di Katyn e alla propaganda con cui per decenni i comunisti addossarono la colpa a chi non la aveva; se vi avessero raccontato come, poco più a ovest, nella Germania orientale, il terribile e satanico dominio nazista fu presto sostituito dal bolscevismo omicida, dalla tirannia di Mosca e della Stasi, sino al crollo del Muro di Berlino. Sarebbe stato utile, ancora, se vi avessero ricordato che i campi di concentramento di Hitler, sono nati sull’esempio di quelli, antecedenti, sovietici; se vi avessero detto che ancora oggi, nella Cina comunista, la bandiera rossa è sinonimo di campi di lavoro, detti Laogai, in cui muoiono di stenti milioni di persone”. “Invece – ho concluso – nessuno vi ha detto nulla, o quasi, di tutto questo”, e ho visto, guardando i loro volti, che avevo indovinato. Sì, in Italia è ancora tabù raccontare i fatti come sono andati veramente. Si scrive tanto sul nazismo, e si fanno dei gran film, spesso più per cancellare e sminuire gli orrori del comunismo che per stigmatizzare e comprendere davvero il mostro hitleriano. L’effetto è assicurato, “destra” è per la gran parte delle persone, ancora, sinonimo di nazismo e di lager, mentre “sinistra” significa libertà, bene, giustizia… Se vogliamo una memoria vera, condivisa, che serva a qualcosa, finiamola con i treni organizzati da associazioni di parte; basta politici su questi treni; basta soldi investiti non per la verità, ma per il tornaconto elettorale. Solo allora gli italiani potranno avere chiaro che nazismo e comunismo sono stati mostri gemelli, due fratelli che si sono sorretti e giustificati a vicenda. Entrambi figli della statolatria moderna e del riduzionismo materialista, entrambi portatori di un pensiero antitetico a quello biblico; entrambi fondati sull’ideologia, sul culto del partito e del leader. In qualche aspetto diversi, certamente, ma alleati persino, come dimostra il patto Ribbentrop-Molotov, nel divorare la Polonia prima, e nello scatenare l’orrore senza fine della II guerra mondiale, poi.


(di Francesco Agnoli, tratto da "Il Foglio" del 9/02/2012)