11 febbraio 2012

Nessuno ucciderà il Papa ma in Vaticano c'è chi gli rovina la vita

Nessuno ucciderà il Papa, ma in Vaticano c’è chi gli rovina la vita

L’ultimo “complotto” svelato dal Fatto, già depositario di altri leak di una segreteria di stato ridotta a groviera

Il cardinale colombiano Darío Castrillón Hoyos “non parla coi giornalisti” dice il suo segretario personale. A parlare, infatti, è l’appunto “confidenziale” che l’ex prefetto del Clero ha inviato il 30 dicembre scorso al Papa e che ieri il Fatto quotidiano ha pubblicato per intero. L’appunto “autentico”, nel senso che effettivamente è arrivato sui tavoli della segreteria di stato vaticana, riguarda la possibilità di un complotto delittuoso per eliminare Benedetto XVI. Un complotto sul quale il cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo – ex nunzio in Italia – si sarebbe soffermato con dovizia di particolari in un suo recente viaggio a Pechino nel novembre 2011. Qui Romeo avrebbe parlato con alcuni interlocutori cinesi – si dice soprattutto con il cardinale salesiano Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong, anche se Romeo ha ieri dichiarato: “Non ho detto quelle cose” – della possibilità che Papa Ratzinger muoia entro un anno e della possibilità che il suo successore sia il cardinale italiano Angelo Scola, già patriarca di Venezia e da pochi mesi nuovo arcivescovo di Milano. In realtà, secondo fonti interne, il convincimento di Castrillón secondo cui il Papa rischia la vita nasce da una vicenda ben nota in Vaticano e mai uscita in precedenza: nel 2005 un cittadino austriaco, poi identificato, si avvicinò al Papa nella basilica vaticana con in mano un coltello. Arrivò fino a venti metri da lui. Venne fermato, ma da quel giorno le guardie svizzere e la gendarmeria vaticana fecero salire la soglia di allerta perché, si disse di lì in avanti dentro la curia romana, “il Papa potrebbe morire”. “Potrebbe morire”, esattamente le stesse parole che Romeo avrebbe pronunciato in Cina.

Anche se Castrillón non è nuovo a uscite del genere – nel 2009 spinse perché Papa Ratzinger concedesse la revoca della scomunica al vescovo lefebvriano negazionista sulla Shoah Richard Williamson, convincendo il segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone con queste parole: “E’ malato, sta morendo, facciamogli un regalo” –, e anche se Paolo Romeo è noto nei Sacri Palazzi per una certa attitudine a vedere complotti – nel 2006 provò a ordirne lui uno contro il Papa.

Convinto che non spettasse al Pontefice l’elezione del successore del cardinale Camillo Ruini alla guida della Cei, indisse una consultazione epistolare tra tutti i vescovi italiani perché indicassero il successore, col risultato che il Papa riconfermò Ruini per un ulteriore anno –, resta il fatto che di questi giorni la Santa Sede ad altro non assomiglia se non a un groviera dai cui buchi esce, non senza qualcuno che ve lo spinga, di tutto.
L’impressione è che dentro la Santa Sede stia avvenendo un regolamento di conti la cui prima vittima è il Papa. Un regolamento di conti tra chi? Non è un mistero per nessuno che la nuova leva a cui è affidata la governance del Vaticano, Bertone e i suoi uomini, dia fastidio alla vecchia guardia, a coloro che con Giovanni Paolo II avevano in mano la segreteria di stato. Romeo, non a caso, è amico fidato del decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano (scrisse Sandro Magister: “Con il cardinale Angelo Sodano segretario di stato Romeo aveva un legame strettissimo. Non erano buoni, invece, i suoi rapporti con il presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini”), fidato tanto quanto il cardinale Agostino Cacciavillan, ex nunzio a Washington, il quale mesi fa si è speso personalmente sconsigliando al Papa l’allontanamento dell’attuale nunzio negli States monsignor Carlo Maria Viganò. E’ quest’ultimo, nei giorni scorsi, a essere assurto all’onore delle cronache per aver accusato Bertone di non aver voluto fare piazza pulita della “corruzione” esistente dentro il Vaticano.

Sodano, Cacciavillan, Viganò, Romeo, sono queste le eminenze ed eccellenze che lavorano nell’ombra contro Bertone lasciando che lettere anonime escano dalle mura leonine verso alcune redazioni di tv e quotidiani? Troppo ardito sintetizzare in questo modo. Filippo Di Giacomo, canonista ed editorialista, esce dalle logiche della battaglia interna e la fa più spiccia: “Il documento Castrillón, come le recenti lettere di Viganò al Papa e a Bertone, scoperchiano un problema che parte da lontano. E’ dal 1985, da quando la parabola del cardinale Agostino Casaroli è iniziata a scemare (Casaroli lasciò l’incarico di segretario di stato nel 1990) che in Vaticano sono state prese a lavorare, soprattutto nelle seconde e terze linee, persone letteralmente raccattate per strada. Nel 1985 divenne presidente della Pontificia accademia ecclesiastica monsignor Justin Francio Rigali, con lui le leve della diplomazia d’oltretevere sono state assunte per cooptazione: più che una scuola, è diventata un ‘clubbino’.

L’internazionalizzazione, poi, ha portato in curia il peggio del Vecchio e Nuovo Mondo, preti che nelle chiese delle loro patrie servivano a poco o niente. Il deficit di management è evidente. Oggi i nodi vengono al pettine. Se certe lettere escono dal Vaticano e finiscono sui giornali è perché dentro vi lavorano preti che, per formazione sacerdotale e preparazione professionale, sono tra i meno qualificati dell’intera chiesa cattolica”.
Secondo il documento Castrillón, tuttavia, c’è di più del semplice deficit di management. Dice Castrillón che “il rapporto tra il Papa e il segretario di stato Bertone sarebbe molto conflittuale” e che “in segreto il Santo Padre si starebbe occupando della sua successione e avrebbe già scelto il cardinale Scola come idoneo candidato, perché più vicino alla sua personalità”. Anche se è difficile sostenere la veridicità di un simile assunto, resta il fatto che è normale per un Pontefice pensare al suo successore e organizzare un collegio cardinalizio che in qualche modo possa seguire le sue aspettative. Come è del tutto logico affermare che la pubblicazione di un documento del genere bruci, più che avvalorare, le possibilità di Scola di salire al soglio di Pietro. Fermo restando il fatto che ogni Conclave è storia a sé.
Tutto, dunque, può accadere. Lucio Brunelli e Alver Metalli in un Vatican thriller uscito di recente e intitolato “Il giorno del giudizio” parlano addirittura di un Conclave al quale, dopo un attentato terroristico che distrugge il Vaticano, partecipano solo tre cardinali: un cinese, un filippino e un colombiano. Il documento pubblicato dal Fatto, in fondo, più che a una vera trama di complotto assomiglia molto a una spy story alla Dan Brown: Romeo, ex nunzio nelle Filippine, rivela l’uccisione del Papa a un cardinale cinese. Ogni cosa viene riferita in Vaticano da un porporato colombiano.

di Paolo Rodari


Nessun commento: