27 febbraio 2012

Il mal di neutrini di Odifreddi & C.


Sarà venuto il mal di pancia ai Piergiorgio Odifreddi, alle Margherita Hack, al manipolo scarno, ma pretenzioso assai, di scienziati e nipoti ritardati del positivismo ottocentesco che con la forza supposta della ragione pensano di convincerci a fare a meno del mistero dell’universo, di guarirci dall’incombenza del divino e per l’insieme dell’opera loro sono stati e sono spesso ospiti di Fabio Fazio. A settembre, dopo anni di tentativi, un neutrino di sapore muonico, si dice così, sparato dal Cern di Ginevra era arrivato a 740 chilometri di distanza nel ventre del Gran Sasso sotto forma di neutrino tau impiegandoci 60 nanosecondi in meno di un fotone e viaggiando quindi a una velocità superiore a quella della luce, con buona pace di Einstein e della teoria della relatività. Annuncio con fanfara, tamburi e trombette. Era come se un cane fosse andato a fare una passeggiata e lungo il cammino si fosse trasformato in un gatto, dissero. Chi non ama improvvide mutazioni genetiche ebbe freddo alla schiena. 

Li si aspettava al varco, dunque, i lanciatori di particelle da Ginevra, capitale di una ricerca europea che somiglia sempre più all’Unione medesima, i ricevitori nonché nipoti di Zichichi. E tutti coloro che palpitano ogni volta che qualcuno annuncia al mondo di aver fatto un passettino avanti nel buio pesto dell’infinitamente piccolo dove si nascondono il mistero dell’universo e il senso della vita. Le leggi di Murphy sono ferree: se è verde o si muove è biologia, se puzza è chimica e se non funziona è fisica. Vuoi per un cavo, vuoi per un computer, vuoi per un Gps, anche da una lastra fotografica di centocinquantamila blocchetti di piombo e millecinquecento tonnellate incassata a millequattrocento metri sotto terra può uscire una misura falsa, un’istantanea bugiarda. Più o meno come da un autovelox.

Non che non si debba fare ricerca. Né far avanzare, anche con la forza della disperazione, il confine incerto, esile di quello che conosciamo. Solo che sarebbe meglio mettere da parte le esaltazioni e le guerre di un altro secolo. Tutto sta nel modo di porsi come direbbero gli esperti di comunicazione. Newton si vedeva come un bambino che gioca sulla riva del mare e di tanto in tanto si diverte a scoprire un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del solito. Gli Odifreddi e le Hack si pongono come adulti turiferari di una santa via atea e laicista.

Che male c'è ad ammettere di avere paura. Della scienza che sa di fantascienza e ci dice che se stessimo nel mezzo della nube gassosa che, secondo autorevoli riviste scientifiche, va a una velocità di oltre otto milioni di chilometri l’ora e passerà nel 2013 a quaranta miliardi di chilometri di distanza dal buco nero “Sagittarius A”,che è il più grande della Via Lattea, ha una massa quattro milioni di volte quella del Sole e dista dalla Terra alcune migliaia di anni luce, bene se stessimo là in mezzo saremmo tutti allungati come spaghetti secondo la teoria delle stringhe. E morti. Se non altro di paura. Non so se Einstein ha trovato davvero l’undicesimo comandamento, formulandolo addirittura con suprema eleganza e francamente me ne frego: non placa la mia angoscia, il senso del limite invalicabile, il lento scivolare verso il nulla. Per questo è meglio non sapere. E credere che il sole sia solo un’abitudine qualunque sopra “le nostre cose sorde e distratte”.

di Lanfranco Pace, tratto da "Il Foglio"

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