25 settembre 2006

EUTANASIA o della (buona?) morte

Ebbene ci siamo: dopo tante altre cosucce si è finalmente arrivati a toccare la questione della morte. In che ambito? Non in un dialogo fra due persone al bar, bensì ai vertici dello Stato.
Il tutto è (ri)scaturito dalla lettera disperata di un uomo da anni malato e allettato. Quest’uomo evidentemente senza speranza si è rivolto al Presidente della Repubblica, chiedendo di voler morire, con il (forse ultimo) desiderio che si faccia una legge che consenta di farsi uccidere/uccidersi quando si è in certe condizioni di malattia senza che da un tale gesto scaturiscano conseguenze di sorta (ad esempio, penali).
Mi chiedo: ma perché io, se voglio uccidermi, non agisco e basta? Perché devo pensare che sia lo Stato a potermi/dovermi dare l’ultima parola?
È chiaro, allora, che se io scrivo a Napolitano per dirgli che voglio morire, e nel caso di specie sono vicepresidente della fondazione Luca Coscioni, significa che attraverso ‘quel’ destinatario della mia lettera voglio trasmettere un messaggio al popolo.
Che messaggio?
a. che la vita è mia;
b. che, essendo mia, posso disporne come meglio mi pare;
c. che questo è talmente giusto da dover essere pro(im)posto al popolo con una legge;
Così è successo che il nostro umanissimo Presidente ha fatto propria la questione ed ha, con tempismo perfetto, spronato governo e parlamento a parlare della (buona) morte (in vista di una legge).
In parlamento a parlare della (buona) morte. I nostri governanti (quelli che bisogna-organizzare-la-felicità-degli-italiani) ci dimostreranno fino alla fine (letteralmente) come tengono alla nostra vita.
Ma quanta fretta di far crepare la gente (legalmente).
La mia ragione è proprio cocciuta e si interroga. Si chiede: ma di che stiamo parlando veramente? Quali sono i termini della questione? Qual è la posizione giusta (c’è sempre una posizione giusta)?
Io ho l’allergia per le posizioni mediane; per dirla tutta, la mediocrità mi fa schifo.
Quindi il dilemma è questo: o faccio di tutto per farti vivere o faccio di tutto per farti morire.
Io non sono per l’accanimento terapeutico, ma, perdiana, alimentare una persona non è una terapia (quando mangio la pastasciutta mi sto curando?); che poi l’alimentazione avvenga attraverso una cannetta è un dato meramente formale, ma parlare di accanimento è da bugiardi (nutrire un neonato con il biberon è un accanimento terapeutico?). Chi era Terry Schiavo? Chi sono i giusti che hanno deciso che bisognava smettere di alimentarla? Chi sono questi ipocriti assassini? QUELLI CHE L’HANNO UCCISA PER IL SUO BENE (bugiardi, l’hanno uccisa per il loro borghesissimo e falsissimo star bene, per non averla più tra i piedi, perchè le rogne vanno eliminate).
Bisogna RAGIONARE. Non bere a litrate il sentimentalismo materialista dei giusti dei nostri tempi.
DI CHI E’ LA VITA? È MIA? ME LA SONO DATA IO? Ma se è mia dovrei avere il potere di farmi come più mi piace: bello, ricco, potente, un essere perfetto. Se è mia perché darmi le malattie?
Fatto sta che 'sto potere non ce l’ho. Allora me lo prendo io, come rivincita, come ultima affermazione di me. Come ultimo tentativo di afferrare, di strappare, di possedere, di signoreggiare. Un grido di disperazione. Un latrato bestiale, dove non c’è più alcun significato, dove la vita è ridotta a materia, ad un bene, disponibile, da inserire in un testamento, come l’appartamento al mare o l’automobile. Dove l’ultima parola la dico io.
Ma l’art. 5 del codice civile ad esempio dice……ma l’art. 40 comma 2 del codice penale dice che….ma chi se ne frega! Se una cosa è possibile diventa giusta, persino doverosa, dice il modernismo che ti accoppa per un ‘atto d’amore’ (‘sti malati sono proprio un problema. Eliminiamoli, facendo credere a loro – ed a noi – che è perché vogliamo loro bene, un gran bene).
Insomma gli uomini che si ammazzano tra loro, che si aiutano persino ad ammazzarsi bene (il forno crematoio prima, l’iniezioncina dopo, stacco la spina….che varietà di metodi!).
Ma alla fine di tutto, alla fine dell’enorme, infinito ammasso di equivoci, di errori, di bugie, di falsità, di menzogne, di lupi travestiti da agnelli, di gulag-camere della dolce morte, di buonismi da idioti sentimentali che fanno più vittime delle guerre (sì cari) …e anche sulla malattia più devastante e sulla morte: “..l’ultima parola resta la Misericordia” (Don Giussani).
Io ho speranza, perché sono felice (non può sperare un infelice). E se fossi malata gravemente vorrei essere come un amico, che ha scritto: “La certezza, che da speranza, non è quella di guarire. Ma quella che sulla mia vita, in questo istante, c’è Qualcuno che mi vuole bene”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

io non so se ti rendi conto di quello che dici...sicuramente si...ed è questa la cosa piu spaventevole...avresti il coraggio di ripetere queste parole di fronte ad una persona che soffre dolori inimagginabili ....di fronte a una persona che implora soltanto che la morte giunga il prima possibile ..di fronte ad una persona che non ha piu ne la forza ne i mezzi per togliersi la vita ..preferiresti che continuasse a soffrire inutilmente aspettando di morire?ti sembra umanita questa?..un malato terminale dovrebbe avere il sacrosanto diritto di decidere di porre fine alle sue sofferenze e lo stato dovrebbe garantire questo diritto...non tutti credono nel dio in cui tu credi...la loro volonta andrebbe rispettata.