29 agosto 2010

Elogio di Chesterton, il catto-comicista

In questi giorni è uscito nelle librerie uno capolavori di G.K. Chesterton, "La Sfera e la Croce". In questi ultimi mesi molte opere del grande autore inglese sono state ristampate da diversi editori, pensiamo alla Morganti che, oltre alla "Sfera e la Croce", ha proposto "Uomo Vivo" o alla Lindau che ha fatto uscire un mese fa "Eretici" e "Ortodossia". Un tesoro che non può mancare nelle vostre librerie. Vi proponiamo un articolo di Marcello Veneziani pubblicato oggi su "Il Giornale".
"...Cari ciellini che siete in gioioso conclave a Rimini, avete applaudito il vostro leader Giancarlo Cesana quando ha attaccato Umberto Eco, citando una sua frase tratta dal Nome della rosa quando dice di temere i profeti disposti a morire per la verità e a far morire gli altri. Secondo Eco, bisogna «far ridere della verità, fare ridere la verità». Al contrario voi credete nella verità, la prendete sul serio e amate i profeti disposti a morire per essa. Ma io vi invito a distinguere nella frase di Eco perché come, spesso accade, il bene e il male sono mescolati, forse subdolamente shakerati.Io amo il profeta disposto a sacrificarsi per la verità, ma temo il profeta disposto a sacrificare gli altri nel nome della sua verità. Ammiro chi si gioca la propria vita per testimoniare la verità, detesto chi gioca la vita degli altri per testimoniare la sua verità. E così detesto i nichilisti che deridono la verità e si prendono gioco di essa, ma amo coloro che vogliono far ridere la verità e renderla perfino giocosa. Uno scrittore cattolico diceva che la fede del futuro poggerà su una forma più sottile di umorismo. E lo stesso scrittore veniva citato da Papa Ratzinger per una sua frase di celeste lievità: «Gli angeli possono volare perché sanno prendersi con leggerezza». Sto parlando di Gilbert Keith Chesterton, cattolico e tradizionalista, che sposò la fede all’umorismo, la teologia alla comicità. Prendete lezione da lui che criticò il moralismo del suo tempo senza con questo difendere l’affarismo; e seppe distinguere tra la religione e il clericalismo. (....)Il bello di Chesterton è la sua leggerezza, la sua fede che passa dal paradosso, la sua confessione di felicità ridente sulla soglia della Chiesa. Pensate che quando morì, Pio XI lo definì defensor fidei, titolo a cui potevano un tempo aspirare solo i sovrani.(...)
A vederlo in maturità Chesterton sembra il nonno di Giuliano Ferrara, ma il suo peso ha la leggerezza della fede, non è un ateo devoto, ma un giullare di Dio, un catto-comicista. A volte è un po’ stucchevole nella pretesa di far ridere a ogni costo e di suscitare sconcerto e sorpresa, gioca troppo con il sentimento del contrario, che secondo Pirandello è la fonte dell’umorismo. Ma Chesterton ha capito una grandissima cosa: se vuoi parlare oggi di Dio, di religione, di fede e perfino di morale, devi saper passeggiare contromano, andare a rovescio tra i paradossi, rendere la bontà accattivante, ridere di ciò che è serio, capire che nell’epoca dell’ateismo e della scienza onnipotente il comico è l’unico modo per presentare non dico la verità, che non è di questo mondo, ma la passione di verità che è poi ciò che ci rende davvero umani. L’umorismo è quel che manca a certi cristianucci lugubri e moralisti, ma anche a certi cupi giacobini della fede (....)
Al nichilismo, Chesterton oppone la realtà, il buon senso della vita. Se credessimo veramente al nichilismo «gli assassini riceverebbero medaglie perché salvano gli uomini dalla vita; i vigili del fuoco verrebbero denunciati perché li sottraggono alla morte; useremmo i veleni come medicine e chiameremmo il dottore quando siamo in buona salute». Nel nome di Dio, Chesterton lega poi democrazia e tradizione, ritenendo che siano inseparabili: la tradizione è un plebiscito nei secoli, è «la democrazia prolungata nel tempo»; e la democrazia, a sua volta, regge sul sentire comune di un popolo. Si deve a Chesterton la più penetrante analisi della pazzia. Per lui il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma chi ha perso tutto tranne la ragione. La follia è la perdita del rapporto col mondo, non la perdita della mente che anzi ragiona con meticoloso determinismo, inseguendo perfette geometrie, ma a prescindere dalla realtà, dalla vita, dagli uomini. «I maniaci di solito sono grandi logici». Un grano di follia fa lievitare la fede, e fa combaciare l’amor di Dio con l’amore per la vita. Il paradosso in fondo è proprio quel grano di follia che fa lievitare la realtà, come il comico insegna l’esistenza di nessi impensati tra gli uomini e le cose. Anche pensando a lui a volte preferiamo il cazzeggio all’analisi, l’ironia alla seriosa esegesi, convinti che nell’epoca delle verità impazzite solo attraverso il paradosso, il comico, la caricatura, sia possibile avvicinarsi alla verità. Il riso abbonda sulla bocca dei sapienti

Nessun commento: