12 agosto 2010

I gulag di Fidel Castro


Il Foglio quotidiano in un articolo del 20 luglio scorso riporta all'attenzione dei suoi lettori la protesta-denuncia che stanno facendo dieci dissidenti cubani, liberati dalle carceri cubane dopo la mediazione della chiesa cattolica, per andare in esilio in Spagna, ma i dieci non vogliono abbandonare l'isola e soprattutto tutti gli altri detenuti politici a marcire nelle carceri di Fidel Castro. “Sarà libertà o moriremo”, esclama il dissidente Julian Moné Borrero, membro del Movimento cattolico Giovanni Paolo II”.

Per loro la diaspora è una sconfitta e vogliono che il regime comunista di Castro liberi i detenuti politici senza condizioni. Nelle carceri cubane le condizioni sono disumane. Racconta Ricardo Gonzales, “Sovraffollamento, perdite dalle fogne, celle dove i prigionieri devono defecare in un buco nello stesso luogo dove dormono. Si convive con ratti, scarafaggi, scorpioni e, detto chiaramente, con gli escrementi”. Sono stati rinchiusi per mesi con la luce accesa tutto il giorno, mentre Lester Gonzalez è stato confinato in un cubicolo di due metri senza luce. “Dal lunedi al venerdi mi portavano fuori solo un momento al giorno perché vedessi la luce”, ha detto il dissidente. Le situazioni disumane nelle carceri, hanno denunciato Pablo Pacheco e Normando Hernando, generano apatia tra i carcerati che “si feriscono da soli o si tolgono la vita”. (Gli irriducibili del gulag cubano, Il Foglio, 20.7.2010).

Il massimo prigioniero politico è il dottore Oscar Biscet, che attraverso la sua Fondazione Lawton si è battuto pubblicamente contro l'aborto e la pena di morte, dopo mesi di isolamento non ha più un dente. Molti di questi dissidenti sono stati bollati come “agenti della Cia”, Un’accusa che li accomuna alla prima leva di dissidenti, come il poeta Heberto Padilla, il leader operaio David Salvador o il capo studentesco Porfirio Ramirez, fucilato da Castro. Il Foglio di Giuliano Ferrara racconta diverse storie come quella di Ivàn Hernàndez Carrillo che è finito in carcere perché ha“dissacrato un’immagine di Fidel Castro”. Ha poi messo su una libreria indipendente, dove si trovano i testi banditi dal regime. Mentre la“colpa” dell’irriducibile Fidel Suarez Cruz è stata quella di aver pescato nel posto sbagliato. Un gesto di disobbedienza civile che gli è costato venticinque anni di carcere. Non se ne andrà in Spagna il poeta Iglesias Ramirez, che finì sotto l’attenzione della polizia perché amava ascoltare i Rolling Stones. Pedro Luis Boitel, era uno studenteche nel 1972 morì in cella per lo sciopero della fame dopo aver combattuto prima contro la dittatura di Batista e poi contro quella di Castro. Nel movimento intitolato a Boitel oggi milita un altro irriducibile, Osvaldo Gonzàlez Montesinos, che si è visto incrementare la pena dopo che ha fatto uscire dal carcere una lettera di denuncia: “I nostri governanti sono determinati a mantenere Cuba in una lugubre oscurità”. Leggendo l'articolo del Foglio il mio pensiero va subito ad Armando Valladares, forse il più noto dissidente cubano, che dopo ventidue anni di dura prigione nel 1982, viene liberato dopo una lunga campagna internazionale a suo favore e su intervento personale del presidente francese Francoise Mitterand, mandato in esilio in Spagna, nel 1985 ha scritto un bel libro, Contro ogni speranza. Dal fondo delle carceri di Castro, in Italia edito da Sugarco. (Ora ripubblicato da Spirali, nel 2007).

Alleanza Cattolica in una sera di maggio del 1987, ha presentato il libro a Milano, quella sera io c'ero e mi ricordo che Valladares alla fine della conferenza con pazienza e cura ha autografato con dedica le tante copie del suo libro (io ne possiedo una che tengo gelosamente), ora a distanza di oltre vent'anni mi accorgo che a Cuba, nonostante le denunce choc di Valladares, non è cambiato nulla, si raccontano sempre le stesse cose. Anzi si continua a presentare Cuba, come ha fatto Licia Colò questa sera su Rai 3nel programma “Alle falde del Kilimangiaro”, come il paradiso esotico per il turismo nostrano. Nelle 400 pagine delle sue memorie di prigionia Valladares descrive minuziosamente il bestiale trattamento riservato ai nemici del regime comunista cubano. Contro ogni speranza, racconta l'inferno in cui egli ha vissuto e la storia di come un uomo sia riuscito a sopravvivere alle peggiori sevizie senza mai perdere la speranza, per quanto infondata potesse apparirgli. I detenuti che rifiutavano la “riabilitazione politica” erano costretti a vivere nel caldo più soffocante e nel freddo più intenso senza abiti (un particolare mi ha colpito, quando Valladares ha dovuto vedere sua mamma completamente nudo, proprio per farlo sentire un verme) venivano percorsi e presi a calci regolarmente dalle guardie; gettati nelle celle di punizione dove non filtrava mai un raggio di luce e dove non era possibile abbandonarsi al sonno perchè le guardie lo impedivano lanciando secchi di urina e feci sui detenuti o stuzzicandoli con lunghe aste (ma erano anche i topi a tenere svegli: una notte, in una scena che richiama alla mente 1984 di Orwell, Valladares narra che si svegliò allorchè un topo cercò di dilaniargli le dita). Nel carcere di Boniato, i detenuti sono ridotti al livello di cavie per 'esperimenti' biologici che reggono il paragone con quelli eseguiti dai nazisti.

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